martedì 13 dicembre 2011

Grave Digger - "Heart Of Darkness"

Titolo: "Heart Of Darkness"
Autore: Grave Digger
Genere: Power Metal
Anno: 1995
Etichetta: BMG Records
Voto: 8
Sito internet: www.grave-digger-clan.com


La rinascita del power metal nella prima metà degli anni Novanta è sicuramente merito anche dei Grave Digger, che nel 1995 danno alle stampe quello che a mio avviso è il disco più bello della loro carriera: “Heart Of Darkness”.
Anche se spetterà a “Tunes Of War” (pubblicato l’anno successivo) il compito di consacrare la band nell’olimpo del metal, “Heart Of Darkness” rimane l'episodio musicalmente più riuscito.
Costituito prevalentemente da mid tempo potenti e rocciosi, il disco si rivela un vero e proprio macigno, con pezzi dal tiro formidabile in grado di scatenare headbangings forsennati.
Ma veniamo subito al sodo.
Dopo l’intro di rito il disco esplode subito in faccia con la veloce “Shadowmaker”, potente e tagliente. Segue “The Grave Dancer”, un brano semplice quanto potente che dal vivo diventa ancor più devastante, cantato a squarciagola dal pubblico che salta impazzito.
La successiva “Demon’s Day” è una bomba atomica, iniziando con un arpeggio tranquillo a cui segue una terrificante esplosione della chitarra accompagnata da un urlo infernale di Chris Boldentahl. Da brivido! Il pezzo è pesantissimo, forse un po’ troppo ripetitivo ma comunque bellissimo. Tra i restanti brani vale la pena ricordare la bellissima title track (credo mai proposta dal vivo, purtroppo), dove potenza, melodia e atmosfere epiche si fondono magicamente in un pezzo di quasi dodici minuti di durata.
Verso la fine gli episodi degni di nota sono la priestiana “Cirlce Of Witches” (ormai un classico) e l’oscura "Black Death". In realtà tutto il è permeato da un’oscurità che lo rende originale e non commerciale. Dal successivo “Tunes Of War” invece la componente “malefica” verrà sempre meno, e i nostri ci abitueranno a melodie più semplici e accattivanti (incantesimo spezzato temporaneamente nel 2001 con la pubblicazione dell’ottimo “The Grave Digger”, che riprenderà lo spirito, l’atmosfera oscura e la potenza di “Heart Of Darkness”).
Inutile sottolineare che i Grave Digger non hanno mai brillato per originalità o capacità tecnica, anzi, volendo essere obiettivi (e un po’ cattivelli), devo ammettere che tutti i chitarristi che hanno militato nella band (Manni Schmidt compreso) sono davvero scarsi, specialmente lo storico Uwe Lulis, autore di assoli davvero pessimi.
D’altra parte però i Digger colpiscono per la coerenza e la passione che mettono in quello che fanno, e soprattutto per le devastanti esibizioni live, dove danno sempre il massimo.
Per ultimo, non per importanza, i Digger hanno successo perché capitanati da un leader carismatico come Chri Boldenthal, una voce potente del metal (una vera voce metal!) e una forza della natura dal vivo.
Bravi, bravi, e ancora bravi!

Tracklist:

1. Tears Of Madness
2. Shadowmaker
3. The Grave Dancer
4. Demon's Day
5. Warchild
6. Heart Of Darkness
7. Hate
8. Circle Of Witches
9. Black Death

Line-up

Chris Boltendahl - Vocals
Uwe Lulis - Guitar
Frank Ullrich - Drums
Tomi Göttlich - Bass

Altre recensioni dei Grave Digger:

"The Clans Will Rise Again" (2011)
"Ballads Of A Hangman" (2009)

lunedì 5 dicembre 2011

Alice Cooper - "Welcome 2 My Nightmare"






Titolo: "Welcome 2 My Nightmare"
Autore: Alice Cooper
Genere: Rock
Anno: 2011
Etichetta: Bigger Picture
Voto: 7
Sito internet: www.alicecooper.com


Alice Cooper è uno tra i pochi artisti che meglio è riuscito a sopravvivere ai trend che l’ambiente musicale ciclicamente impone. Attivo dalla metà degli anni Sessanta, ha vissuto in pieno l’esplosione del rock e l’invasione del metal, si è distinto nel periodo glam con album miliardari come “Trash” e “Hey Stoopid”, ha schivato il grunge con il bellissimo “The Last Temptation” e infine ha superato incolume il periodo del new metal irrobustendo il sound in ottimi dischi come “Brutal Planet” e “Dragontown”.
Gli ultimi lavori sono stilisticamente contrassegnati da un ritorno al rock delle origini, e sulle stesse coordinate si muove il nuovissimo “Welcome 2 My Nightmare”, seguito del concept “Welcome To My Nightmare” del 1976, capolavoro assoluto di Alice Cooper.
Se la prima domanda che vi viene in mente è “ma questo disco regge il paragone con il predecessore?”, la risposta è no. Non c’è niente da fare: è impossibile dopo anni (in questo caso parliamo di 35 anni) riuscire a ricreare un’atmosfera, uno stato d’animo o un’alchimia tra persone unite si musicalmente, ma profondamente cambiate a livello personale.
L’Alice Cooper del 2011 è una persona equilibrata che ormai ha chiuso con l’alcol e gli eccessi, ne consegue che nel nuovo disco poco si avverte di quell’atmosfera inquietante e claustrofobica che permeava brani oscuri come “Welcome To My Nightmare” o “Black Widow”; o della follia di pezzi disperati come “Years Ago” e “Steven”.
Solo superando lo scoglio del “paragone” si riesce ad apprezzare il disco per quello che veramente è: un concentrato di sano rock’n’roll molto debitore ai Rolling Stones dei tempi d’oro.
Il disco si apre con un lento, “I Am Made Of You”, che riprende il tema di “Steven”, rappresentando, di fatto, il brano migliore (non a caso alla chitarra c’è il virtuoso Tommy Denander). Poi però si parte in tromba con pezzi semplici ma energici come “Caffeine”, “I’ll Bite Your Face Off” (primo singolo/video estratto), “Runaway Train”, “The Congregation” e la divertente “Ghousl Gone Wild”.
Nel viaggio attraverso l’incubo ci si imbatte anche in brani insoliti e originali come “Last Man On Earth” (in stile charleston) e “Disco Bloodbath Boogie Fever” (un pezzo di disco music) che creano quell’effetto di teatralità che caratterizzava il primo capitolo.
Sul finale c’è spazio anche per una ballad, “Something To Remember By”, che come sempre non tradisce le aspettative dei fans ormai abituati ai lentoni di Alice.
La chiusura spetta invece a “The Underture”, brano strumentale e sorta di medley con i temi principali di “Welcome To My Nightmare 1 e 2”.
Da encomio come sempre la prestazione vocale di Alice, che non risente per niente del tempo. Più ordinaria invece la prestazione dei numerosi ospiti che hanno collaborato al disco, tra cui vale la pena citare Michael Bruce, Dennis Dunaway, Neil Smith e Steve Hunter, compagni di Alice agli inizi della carriera.
L’impressione generale è che forse si poteva fare di più, trattandosi del seguito di un disco molto importante per la carriera di Alice Cooper e la storia del rock in generale. D’altra parte cosa si può ancora chiedere a un’artista che in oltre 45 anni di carriera ha dato anima e corpo per la causa del rock’n’ roll?
Godiamoci il disco, togliamoci il cappello e ringraziamo ancora una volta lo zio Alice.

Tracklist:

1. I Am Made of You
2. Caffeine
3. The Nightmare Returns
4. A Runaway Train
5. Last Man on Earth
6. The Congregation
7. I'll Bite Your Face Off
8. Disco Bloodbath Boogie Fever
9. Ghouls Gone Wild
10. Something to Remember Me By
11. When Hell Comes Home
12. What Baby Wants (feat. Ke$ha)
13. I Gotta Get Outta Here
14. The Underture

Lineup

Alice Cooper - voce

Ospiti:

Ke$ha (Voce ospite su "What Baby Wants")
Rob Zombie (Cori su "The Congregation")
Kip Winger (Cori su "Ghouls Gone Wild" e "The Congregation")
Vicki Hampton (Cori)
Wendy Moten (Cori)
Steve Hunter (Chitarra su "Something to Remember Me By", "When Hell Comes Home" e "What Baby Wants")
Keith Nelson (Chitarre, cori su "Caffeine")
Pat Buchanan (Chitarre)
Michael Bruce (Chitarre, tastiere, cori su "A Runaway Train", "I'll Bite Your Face Off" e "When Hell Comes Home")
Tommy Denander (Chitarre su "I Am Made of You")
Vince Gill (Chitarra solista su "A Runaway Train" e "Gotta Get Outta Here")
Patterson Hood (Chitarra su "Gotta Get Outta Here")
Damon Johnson (Chitarra su "We Gotta Get Out of This Place")
Keri Kelli (Chitarra su "We Gotta Get Out of This Place")
John 5 (Chitarra su "Disco Bloodbath Boogie Fever")
Dick Wagner (Co-songwriter e chitarra solista su "The Underture")
Chuck Garric (Basso)
Dennis Dunaway (Basso, cori su "A Runaway Train", "I'll Bite Your Face Off" e "When Hell Comes Home")
Jimmie Lee Sloas (Basso)
Piggy D (Co-songwriter e basso su "Last Man on Earth")
Neal Smith (Batteria, percussioni, cori su "A Runaway Train", "I'll Bite Your Face Off" e "When Hell Comes Home")
Scott Williamson (Batteria)
Jimmy DeGrasso (Batteria su "We Gotta Get Out of This Place")
David Spreng (Co-songwriter e batteria su "Last Man On Earth")
Desmond Child (Co-songwriter)
Jeremy Rubolino (Co-songwriter)

martedì 29 novembre 2011

Iron Savior - "The Landing"

Titolo: "The Landing"
Autore: Iron Savior
Genere: Power Metal
Anno: 2011
Etichetta: AFM Records
Voto: 7
Sito internet:
www.iron-savior.com


Piet Sielck è un“geniaccio”. Nel giro di pochi anni si è costruito con gli Iron Savior una carriera di tutto rispetto, cavalcando inizialmente la rinascita del power nella seconda metà degli anni Novanta, riscuotendo successivamente un discreto successo grazie a ottimi dischi che li hanno consacrati al grande pubblico.
Purtroppo l’ultimo “Megatropolis” (2007) aveva lasciato in fans con l’amaro in bocca: un disco scialbo e spompato seguito da un lungo periodo di silenzio, durante il quale non sono più circolate notizie circa i progetti della band.
Poi di colpo a Settembre l’annuncio di un nuovo album, dopo meno di un mese il primo video su youtube e a fine novembre ecco “The Landing”, disco che rilancia alla grande gli Iron Savior, suonando tremendamente true metal ma sprigionando allo stesso tempo un tiro e una carica che da tempo non si sentivano.
La ricetta ormai la conosciamo, tuttavia i brani sono ispirati, carichi e potenti, pertanto è un grande piacere poter spingere l’acceleratore sulle note dell’opener “The Savior” o cantare a squarciagola “Starlight” (sulla quale aleggia lo spirito di Kai Hansen).
A metà strada troviamo “Heavy Metal Never Dies”, tributo di Sielck e soci al popolo dei metallari: un mid tempo massiccio tanto semplice quando tirato che dal vivo scatenerà un headbanging forsennato (forse il testo è un po’ pacchiano, ricorda un pò “To The Metal” dei Gamma Ray).
Sulla stessa onda emozionale si sfuna “R.U.Ready” (più hardrockeggiante), in cui la band ribadisce – qualore ce ne fosse bisogno – i dogmi del vero rocker citando titoli dei Grandi del passato tra cui Steppenwolf, Saxon e Judas Priest (da notare la somiglianza, credo/spero voluta, dell'assolo con il riff di "Breaking The Law").
Il trittico finale è costituito dalla veloce “Faster Than All”, la ballad “Before The Pain” e la conclusiva “No Guts, No Glory”, dove un hard rock festaiolo fa capolino per un brano divertente da cantare a tutta birra.
Da segnalare nell'edizione speciale due tracce bonus: "Coming Home" e "Atlantis Falling", riarrangiate per l'occasione, ma a mio avviso sono meglio le versioni originali.
Con “The Landing” gli Iron Savior hanno messo i puntini sulle i, scrivendo non il loro disco migliore forse, ma di sicuro il più sincero, convinto, e suonato con passione.
Così è, se vi pare.

Tracklist:

01. Descending
02. The Savior
03. Starlight
04. March Of Doom
05. Heavy Metal Never Dies
06. Moment In Time
07. Hall Of The Heroes
08. R. U. Ready
09. Faster Than All
10. Before The Pain
11. No Guts No Glory
12. Coming Home 2011 (Digipack Bonus Track)
13. Atlantis Falling (Digipack Bonus Track)

Lineup

Joachim "Piesel" Küstner- chitarra
Jan S. Eckert- basso
Piet Sielck - voce, chitarra
Thomas Nack - batteria

mercoledì 23 novembre 2011

Yes - "Fly From Here"

Titolo: "Fly From Here"
Autore: Yes
Genere: Progressive Rock
Anno: 2011
Etichetta: Frontiers Records
Voto: 7,5
Sito internet: www.yesworld.com


E’ proprio vero che “gallina vecchia fa buon brodo".
Dopo oltre 40 anni di onorata carriera, lo storico gruppo progressive Yes ritorna sulle scene con “Fly From Here”, disco bellissimo che ribadisce, qualora ce ne fosse bisogno, l’altissimo livello della musica da sempre proposta dagli Yes.
Della formazione originale rimane solo il bassista Chris Squire, ma ritroviamo comunque con piacere il grande Steve Howe alla chitarra, Alan White alla batteria, David Benoit dietro il microfono (Jon Anderson ha lasciato il gruppo nel 2008 per problemi di salute) più Oliver Wakeman e Trevor Horn, questi ultimi in qualità di ospiti.
Fin dalle prime note dell’”Overture” (che fa da intro alla suite “Fly From Here”) si viene rapiti da tipiche sonorità seventies che proprio gli Yes (insieme a grandi bands come Genesis, Emerson Lake & Palmer) hanno contribuito a creare.
Certo siamo un po’ lontani dalle composizioni pompose e intricate del passato, i brani sono piuttosto accessibili, tuttavia si rimane affascinati dall’alta qualità di ogni singolo brano. Gli arrangiamenti sono molto curati, i suoni nitidi, perfetti, specialmente per quanto riguarda la chitarra di Steve Howe, che regala arpeggi d’atmosfera ed assoli di classe di grande intensità, come in “Sad Night At The Airfield” (la terza parte della suite), uno dei pezzi migliori. Come ornamento, delicati tappeti di tastiere su cui si staglia la voce pacata di Benoit, per un risultato davvero ottimo
Il disco scorre via senza intoppi con piacere (da segnalare il simpatico brano strumentale per sola chitarra “Solitaire”) trasportando l’ascoltatore in un’oasi di pace e infondendo davvero la voglia di volare.

Tracklist:

1) Fly From Here
        I)Overture
        II)We Can Fly
        III)Sad Night At The Airfield
        IV)Madman At The Screens
        V)Bumpy Ride
        VI)Reprise
2) The Man You Always Wanted Me To Be
3) Life On A Film Set
4) Hour of Need
5) Solitaire
6) Into the Storm

Lineup

Benoît David: voce
Steve Howe: chitarra
Chris Squire: basso, voce
Alan White: batteria, percussioni
Geoff Downes: tastiera

Musicisti aggiuntivi

Oliver Wakeman – tastiera in We Can Fly, We Can Fly (reprise) e Hour of Need
Trevor Horn – voce, tastiera
Luís Jardim – percussioni
Gerard Johnson – pianoforte in The Man You Always Wanted Me To Be'

sabato 19 novembre 2011

Dream Theater - "A Dramatic Turn Of Events"

Titolo: "A Dramatic Turn Of Events"
Autore: Dream Theater
Genere: Progressive Metal
Anno: 2011
Etichetta: Roadrunner Records
Voto: 6,5
Sito internet: www.dreamtheater.net


Il ritorno dei Dream Theater con il nuovo batterista Mike Mangini è di sicuro uno degli eventi più chiacchierati (e drammatici, parafrasando il titolo del disco) di questo 2011.
La perdita di Mike Portnoy, membro fondatore che per oltre vent’anni ha dato anima e corpo alla sua creatura, ha suscitato paura e curiosità nei fan e negli addetti ai lavori che per mesi hanno seguito su internet le vicende interne della band, soprattutto quelle riguardanti le audizioni per la scelta del nuovo batterista.
Alla fine, tra dichiarazioni varie, pentimenti (!?!) e "toto candidati", la scelta è caduta su Mike Mangini (come da rumors che da diverso tempo circolavano in rete), talentuoso drummer che vanta collaborazioni con Steve Vai, Annilhator, Extreme, e altri.
Sostituire Portnoy era un’impresa praticamente impossibile, e in effetti l’impressione che si ha ascoltando il nuovo “A Dramatic Turn Of Events” è che Mike Mangini non sia riuscito nel compito di “degno successore”. Ma andiamo per ordine.
Innanzitutto c’è da dire che musicalmente questo disco si allinea perfettamente alle uscite più recenti dei Dream Theater, meno metal e, purtroppo, anche sempre meno progressive.
Se il precedente “Black Clouds & Silver Lightnings” brillava per l’eccellente qualità dei brani (nonostante la carenza di parti sperimentali o prettamente progressive), quest’ultimo lavoro denota una carenza compositiva a livello generale. Ciò significa che se il disco non convince non è colpa del Nuovo Arrivato, bensì della band nell'insieme.
Le parti di chitarra sono piuttosto lineari e stantie (era da “Train Of Thouhgts” che non sentivo un Petrucci così poco ispirato); Rudess farebbe prima a comprare un pianoforte a coda visto l’uso massiccio di parti da pianista classico piuttosto che da tastierista prog; mentre la prestazione di Labrie passa praticamente inosservata, non essendoci passaggi degni di nota. Anzi, c’è un ripetuto uso del cantato “sussurrato/respirato” che mal si sposa con melodie semplici e stra-sentite, specialmente nelle ballads.
Di Myung al basso non c’è molto da dire, mentre Mangini svolge il suo lavoro con precisione senza eccedere in particolari virtuosismi.
Questa “stanchezza compositiva” la si avverte fin dall’iniziale “On The Back Of Angels” (primo singolo estratto), su “Lost Not Forgotten” (uno dei brani peggiori, in cui i Dream Theater si sforzano a suonare prog eseguendo virtuosismi tanto per fare, ottenendo appunto un brano sforzato) o nelle ballads “Far From Heaven” e “Beneath The Surface”.
Per fortuna ci sono anche momenti positivi come “Bridges In The Sky”, “Outcry” e “Breaking All Illusions” (quest’ultima davvero bellissima, senza dubbio la migliore del lotto, la cui struttura mi ricorda in alcuni punti quella di “Learning To Live”) in cui i nostri tirano fuori le palle e dimostrano di saper ancora creare brani ispirati come ai vecchi tempi.
Purtroppo tre brani non bastano a risollevare le sorti di un disco dal quale, comunque, era oggettivamente difficile aspettarsi un capolavoro.
E mentre si cerca di dare fiducia a una band che ha subito una “drammatica svolta negli eventi”, Mike Portnoy piange a destra e a sinistra dichiarando di quando sia infelice senza i Dream Theater…mah, noi non possiamo fare altro che goderci il prossimo tour e sperare nel prossimo album.

Tracklist

1. On the Backs of Angels - 8:46
2.Build Me Up, Break Me Down - 6:59
3.Lost Not Forgotten - 10:11
4.This Is the Life - 6:57
5.Bridges in the Sky (*) - 11:01
6.Outcry - 11:24
7.Far from Heaven - 3:56
8.Breaking All Illusions - 12:25
9.Beneath the Surface - 5:26

Lineup

James Labrie - voce
John Petrucci - chitarra
Jordan Rudess - tastiere
John Myung - basso
Mike Mangini - batteria

giovedì 17 novembre 2011

Derek Sherinian - "Inertia"

Titolo: "Inertia"
Autore: Derek Sherinian
Genere: Keyboard hero/progressive
Anno: 2001
Etichetta: InsideOut Music
Voto: 7,5
Sito internet: www.dereksherinian.com


Dopo la dipartita dai Dream Theater Derek Sherinian non si è certo perso d’animo, anzi, si è rimboccato le maniche inaugurando una carriera solista di tutto rispetto (ad oggi sono le uscite a suo nome, quattro relative al progetto Planet X, più una marea di collaborazioni con musicisti del mondo rock/prog) che ha definitivamente cancellato l’astio e le critiche che fan e stampa gli avevano spesso dimostrato durante la permanenza nei Dream Theater.
“Inertia” è il secondo disco solista di Derek, pubblicato nel 2001 a distanza di due anni dal primo Planet X.
I “collaboratori” non hanno certo bisogno di presentazioni: alla chitarra troviamo Zakk Wylde e Steve Lukather, alla batteria Simon Phillips, al basso Tom Kennedy, Tony Franklin e Jimmi Johnson.
Fin dal primo ascolto il disco appare fresco e vario: si passa da brani duri come “Frankesnstein” o “Evel Kneivel” ad altri più pacati e da atmosfera come “Mata Ari” (che non sfigurerebbe per niente in una compilation di Café del Mar), fino a brani più tecnici e prettamente prog come “Astroglide” e “What A Shame”. Da sottolineare comunque come tecnica e melodia vengano sapientemente miscelati senza mai prevalere l’uno sull’altro. Di fatto mancano brani puramente tecnici (un pregio, a mio avviso) e ne consegue una facile assimilabilità già dopo un paio di ascolti e una generale atmosfera di “calore”. Altro punto a favore è la durata dei brani, mai oltre i sette minuti di durata (tutto il contrario di alcuni guitar/keyboard hero, come ad esempio il collega Jordan Rudess, che puntano troppo sulla mera esecuzione tecnica di brani di oltre dieci minuti, rinunciando di fatto al feeling).
La varietà dei generi proposti mette in mostra le doti di Derek, abile nel “maneggiare” suoni e strutture moderne che si amalgamano alla perfezione a sequenze più classiche. Troviamo dunque begli assoli, veloci e sperimentali, ma anche morbidi tappeti musicali e momenti soffusi e accennati tipici dai sapori jazz, funky e ambient.
In definitiva un gran bel disco, un grande artista, una grande conferma!

Tracklist:

Inertia
Frankenstein
Mata Hari
Evel Kneivel
La Pera Loca
Goodbye Porkpie Hat
Astroglide
What a Shame
Rhapsody Intro
Rhapsody in Black

Lineup

Derek Sherinian - tastiere
Zakk Wylde - chitarra
Steve Lukather - chitarra
Simon Phillips - batteria
Tony Franklin - basso
Tom Kennedy - basso
Jimmy Johnson - basso

giovedì 21 luglio 2011

Athena - "A New Religion?"

Titolo: A New Religion?
Autore: Athena
Genere: Progressive Metal
Anno: 1998
Etichetta: Rising Sun Productions
Voto:
8




“A New Religion” degli Athena è indiscutibilmente un capolavoro assoluto della storia del progressive metal italiano. La bellezza di questo disco è data non solo dall’alta qualità della musica proposta, ma anche dal fatto di essere stato una meteora che con il passare del tempo ha acquisito quel dolce sapore del pezzo raro da collezione.
Ma partiamo dall’inizio. Gli Athena si formano nei primi anni Novanta pubblicando il primo album, “Inside The Moon”, che viene accolto piuttosto timidamente dalla critica.
Per il disco successivo c’è un cambio di formazione e viene reclutato Fabio Lione, allora già conosciuto per la sua militanza nei Labyrinth e nei Rhapsody.
…ed esce il disco con il botto!
“A New Religion” infatti è un disco stupendo in cui classe, tecnica, melodia e potenza vengono magistralmente miscelati per un risultato davvero spettacolare.
La prestazione dei singoli membri è davvero impeccabile, e tra tutti spicca per tecnica e versatilità proprio quella di Fabio Lione, che ancora oggi, a mio giudizio, rimane la sua performance migliore in assoluto di tutta la sua carriera discografica. In questo disco infatti come in nessun altro Fabio è completamente libero di esprimersi a proprio piacimento. Si passa da un timbro prettamente classico e power oriented (come in “A New Religion?” e “Soul Sailor”) a momenti più aggressivi (“Dead Man Walkin”, Twisted Feel), fino a brani più leggeri in cui Fabio si mantiene su tonalità medio basse dimostrando di essere davvero un grande cantante (“My Silence”, “Not Too Far”).
Le chitarre di Daniele Guidi descrivono riff tecnici per architetture moderatamente complesse; il drumming è tecnico, fantasioso e dinamico, mentre le tastiere di Gabriele Guidi rappresentano l’altra punta di diamante di questo cd, con suoni che creano atmosfere oniriche in grado di trasportare l’ascoltatore in altri mondi…
“A New Religion?” mi ha spesso ricordato “Awake” dei Dream Theater, da un lato per brani d’atmosfera come “Lifting Shadows Off A Dream” e “Space Dye West”, permeati da quell’aurea “space metal” affascinante e coinvolgente che qui troviamo in “My Silence”, “The Keeper”, “My Secret Vision” e in “Every Word I Whisper”, brano particolare quest'ultimo, in cui le tastiere descrivono uno scenario apocalittico da brivido; dall’altro per l’aggressività di certe composizioni.
A completare il quadro perfetto della situazione ci pensa l’ottima produzione, con l’impiego di suoni puliti e moderni e una cura maniacale nella costruzione della musica.
Non un brano di basso livello, non un assolo messo li tanto per riempire, non un ritornello sbagliato: insomma, un disco veramente perfetto sotto ogni aspetto (artwork incluso).
Si parlava inzialmente di meteora, e si perché dopo “A New Religion?” gli Athena, orfani ormai del buon Fabio, pubblicheranno l'ultimo cd della loro breve carriera, “Twilight Of Days”, un disco di canonico power metal che li lancerà per sempre nel dimenticatoio, fino allo scioglimento da li a poco dopo.
Un pezzo raro da avere assolutamente.

Tracklist:

01. In the Beginning
02. A New Religion?
03. Soul Sailor
04. Apocalypse
05. Every Word I Whisper
06. Dead Man Walkin'
07. My Silence
08. Secret Vision
09. The Keeper
10. Twisted Feel
11. Not Too Far

Lineup

Simone Pellegrini - chitarra
Alessio Sabella - basso
Matteo Amoroso - batteria
Gabriele Guidi - tastiera

giovedì 14 luglio 2011

Capricorn - "Inferno"

Titolo: Inferno
Autore: Capricorn
Genere: Power Metal
Anno: 1995
Etichetta: Modern Music
Voto: 7




I quasi 40 gradi di questa giornata incandescente sono l’occasione perfetta per recensire un disco bollente come “Inferno”, dei teutonici Capricorn.
A partire dal titolo e soprattutto dalla copertina, raffigurante la minacciosa testa di un capricorno formata e completamente avvolta dalle fiamme, questo disco, per la potenza e la ruvidezza dei suoni, crea un’impressionante sensazione di caldo soffocante.
Venni a conoscenza di questo gruppo nell’ormai lontano 1996 (il disco è datato 1995), grazie a un mio caro amico che acquistò il disco incuriosito dal fatto che il batterista era Stefan Arnold, già militante nei Grave Digger, gruppo che all’epoca seguivamo molto, in quanto freschi di bellissimi album come “Heart Of Darkness” e “Tunes Of War”.
La storia del gruppo è relativamente breve: i Capricorn nascono come trio (composto da Adrian Hahn alla voce e basso, David Hoffmann alle chitarre e Stefan Arnold alla batteria) verso i primi anni Novanta e si sciolgono nel giro di breve tempo dopo la pubblicazione di soli due album. “Inferno” è il secondo, a detta di tutti il migliore (anche se confesso di non aver ascoltato il primo).
Il genere proposto è un power/trash metal influenzato dal filone power melodico che imperversava in quegli anni, ma caratterizzato anche da una certa “rozzezza” tipicamente rock’n’roll alla Mothorhead che dona ai brani quel tiro che tanto basta a scatenare il pogo.
I brani di per se sono piuttosto semplici e lineari, la parte solistica è poco curata, tuttavia i suoni sono potenti, ruvidi e sporchi; i riff spaccano le ossa e il risultato è un dischetto dotato di un’energia che mette la carica ad ogni brano.
Per dirla in breve: "Inferno" è il classico disco sempliciotto e diretto ma tirato quanto basta per imprimerselo in testa e ascoltarlo a ripetizione nei momenti in cui si vuole ascoltare qualcosa di tosto per scatenarsi!
Accanto a brani power oriented come l’iniziale “Claws Of The Mad”, “Iron Biter” e “Gun For Hire”, troviamo brani di impostazione più hard rock come “The Wire Fence” e “Dead Can Walk”, due macigni di fronte ai quale è impossibile non mettersi a saltare e a cantare a squarciagola i ritornelli.
C’è anche spazio per brani più riflessivi in cui si tira un po’ il fiato, come l’ottima “Moonstruck” e la title track “Inferno”.
Da segnalare infine un potentissima versione del classico dei Twisted Sister “You Can’t Stop Rock’n’Roll”, davvero terremotante, soprattutto nel ritornello.
Insomma, i Capricorn sono uno dei quei tanti gruppi meteora che nel loro breve passaggio hanno lasciato un piccolo ma indelebile segno nel cuore dei metallari.

Tracklist:

1) Iced Age
2) Claws of the Mad
3) The Wire Fence
4) Dead Can Walk
5) Moonstruck
6) Iron Biter
7) Gun for hire
8) A Call for Defiance
9) You can't stop R' n' R'
10) Camp Blood
11) Inferno

Lineup

Adrian Hahn - voce, basso
David Hoffmann - chitarra
Stefan Arnold - batteria

venerdì 1 luglio 2011

Rhapsody Of Fire - "From Chaos To Eternity"

Titolo: From Chaos To Eternity
Autore: Rhapsody Of Fire
Genere: Symphonic Metal
Anno: 2011
Etichetta: Nuclear Blast
Voto: 7,5
Sito internet: www.rhapsodyoffire.com


La furia creativa di Turilli e soci è inarrestabile: “From Chaos To Eternity” è il terzo disco nell’arco di poco più di un anno, un nuovo gioiello che magnificamente si incastona nella preziosa discografia del combo triestino.
Nel corso degli anni i Rhapsody Of Fire si sono meritatamente costruiti la reputazione di “gruppo di nicchia” (attirando inevitabilmente l'antipatia di una certa schiera di fan e addetti ai lavori), diventando un solido marchio di qualità a garanzia di ogni uscita discografica. 
Per cominciare, vorrei sottolineare come questo disco rivesta una certa importanza storica, sancendo infatti la fine della “Dark Secret Sagra” e un lungo capitolo della vita e della musica dei Rhapsody, iniziato quattordici anni fa con il clamoroso “Legendary Tales”. Dalle interviste promozionali apparse sulle webzine specializzate, Luca Turilli ha già annunciato grandi novità a partire dal prossimo autunno, anche se ovviamente non è ci è ancora dato sapere che cosa dobbiamo aspettarci. Chissà quale direzione prenderanno i Rhapsody ora. Certo farebbe strano un nuovo disco lontano dalle tematiche fantasy che tanto ci hanno appassionato in questi anni…staremo a vedere.
Venendo all’aspetto musicale invece, si avverte subito come il nuovo disco è linea con “The Frozen Tears Of Angels”, rappresentandone anzi la perfetta continuazione. Anche in questo caso infatti la componente metal predomina su quella sinfonico-orchestrale (comunque ampiamente presente), e gran parte del lavoro si basa sulla chitarra di Turilli che sciorina assoli velocissimi senza tregua e potenti riff. A mio avviso però l’uso dei barocchismi è spesso estremizzato, creando momenti stucchevoli in cui sembra di ascoltare più che altro degli esercizi di chitarra…ma Luca è fatto così, lui stesso ammette di essere fissato con il metal neoclassico…e allora lasciamolo fare!
Riguardo al resto della band, beh, non c’è che dire, sono tutti in forma come al solito. Alla seconda chitarra troviamo Tom Hess (ufficializzato membro fisso della band), alla batteria Alex Holzwarth è la solita macchina da guerra, al basso Patrick Guers fa sempre la sua figura mentre per Fabio Lione come sempre non c'è nulla da eccepire.
Il disco si apre in modo insolito con un assolo di chitarra elettrica che spiana la strada alla title trak “From Chaos To Eternity”, potente e melodica sulla scia di “Sea Of Fate”.
Nella successiva “Tempesta Di Fuoco” il neoclassicismo raggiunge l’apoteosi, essendo il brano costruito su assoli e scale  di musica classica, ma forse tra tutte è la canzone che meno “morde”.
La successiva “Ghosts Of Forgotten Worlds” invece è la prima perla del disco: tiratissima, alterna potenti riff “priestiani”, assoli veloci e ritmiche speed metal contornate da un bel lavoro alle tastiere, specialmente nella parte centrale. Davvero un gran pezzo, tra i più veloci dei Rhapsody.
Segue “Anima Perduta”, il lento della situazione, un po’ scontato e deboluccio, ma ormai si sa, quel lontano “Lamento Eroico” ha commosso un’intera generazione di giovani metallari, e quindi il lentone epico cantato all’Albano ci vuole…(anche se il miglior lento in assoluto dei Rhapsody rimane “Son Of Pain”).
La tregua viene subito interrotta dall’esplosione di “Aeons Of Raging Darkness”, la seconda perla del disco. Il brano è sulla falsa riga di “Reign Of Terror”, potente e oscuro, con uno strepitoso Fabio che si cimenta nello screaming simil black metal. Un brano bellissimo dove le tastiere di Staropoli creano un’atmosfera battagliera dalla carica sorprendente.
La successiva “I Belong To The Stars” è il brano più orecchiabile del disco, un mid tempo melodico dal ritornello semplice ma molto epico e moto bello.
Chiudono la veloce “Tornado” e l’immancabile suite conclusiva da 20 minuti circa, “Heroes Of The Waterfall’s Kingdom”, il solito concentrato di tecnica, potenza, epicità e teatralità, magistralmente arrangiati dai nostri eroi.
Alla fine del viaggio, l’impressione che questo disco sia lievemente inferiore al precedente tenta di insinuarsi malignamente nei cunicoli più nascosti dei timpani. Ma in fondo non è altro che la smania di voler trovare a tutti costi il pelo nell’uovo. O forse è solo l’alta qualità della musica a cui la band ci ha abituato che ci porta a chiedere a questi grandi musicisti sempre di più.
Il mio giudizio finale? Un disco magnifico.

Tracklist:

1. Ad Infinitum (intro) 01:30 
2. From Chaos to Eternity 05:45 
3. Tempesta Di Fuoco 04:48 
4. Ghosts of Forgotten Worlds 05:35 
5. Anima Perduta 04:46 
6. Aeons of Raging Darkness 05:46 
7. I Belong to the Stars 04:55                       
8. Tornado 04:57 
9. Heroes of the Waterfalls' Kingdom 19:32  

Lineup

Fabio Lione - voce
Luca Turilli - chitarra
Alessandro Staropoli - tastiere
Patrice Guers - basso
Alex Holzwarth - batteria
Tom Hess - chitarra

lunedì 27 giugno 2011

Dark Horizon - "Dark Light's Shades"

Titolo: Dark Light's Shades
Autore: Dark Horizon
Genere: AOR
Anno: 2004
Etichetta: Underground Symphony Records
Voto: 7
Sito internet: http://www.darkhorizon.eu/



Esaltato dal bellissimo “Angel Secret Masquerade” che mi sono gustato nel freddo inverno 2010 (e recensito su queste pagine poco tempo fa), ho deciso di acquistare il precedente lavoro dei Dark Horizon, tale “Dark Light's Shades”, che quando uscì nel 2004 (sempre per la Underground Symphony”) fu ben accolto dalla stampa di settore.
E a ben ragione devo dire, perché anche questo cd è un concentrato di bella musica.
Percorrendo la carriera di un gruppo a ritroso, a volte è inevitabile giudicare il disco precedente “leggermente inferiore” rispetto al successivo, in questo caso per il semplice e unico motivo che “Angel Secret Masquerade” è il completamento di un percorso musicale, il raggiungimento della perfezione stilistica e dunque la realizzazione di un piccolo capolavoro.
Questo cd infatti presenta tutte le caratteristiche tipiche della musica proposta dei piacentini: vasta conoscenza musicale, potenza, melodia, impegno e passione spinti ad alti livelli.
Le melodie risultano subito vincenti, i brani sono facilmente assimilabili e forse l’unica pecca è l’eccessiva ripetitività dei ritornelli (ad esempio in “Painted In Blood” e “Victims Of Changes”).
A metà cd arriva la bellissima ”Dragon’s Rising”, un concentrato di prog/rock, melodia e assoli sempre ispirati e mai inseriti a caso.
Con la successiva “The Spell You’re Under, Hannibal The Carthaginian” ci si addentra in territori più power, mentre “The Oath” è un ottimo brano prog con atmosfere più epiche.
“The Glory” e “The Weeping” mostrano il lato più ruvido dei Dark Horizon, anche se all’interno dei brani ci sono inserti strumentali che smorzano la tensione e creano momenti d’atmosfera molto belli e interessanti. Sono forse i migliori passaggi in cui i singoli musicisti esprimono al massimo la propria vena creativa.
La chiusura è affidata a “Flying In The Wind”, una bellissima ballad per violino e chitarra acustica che ha come unica colpa l'assomigliare troppo a “Forever” degli Stratovarius.
In sostanza dunque un bel disco, con dei brani che mancano però di di quella marcia in più che sarà ingranata nel disco successivo e che permetterà di gridare al capolavoro.

Tracklist:

1) 1793
2) Painted In Blood
3) Victim Of Changes
4) Master Of The Bright Sea
5) Dragon’s Rising
6) The Spell You’re Under Hannibal, The Carthaginian
7) The Oath
8) The Glory
9) The Weeping
10) Flying In The Wind

Lineup

ROBERTO QUASSOLO: Vocals
DANIELE MANDELLI: Electric and Acoustic Guitars
ALESSANDRO BATTINI: Piano, Keyboards and Backing Vocals
DAVIDE MARINO: Bass and Backing Vocals
LUCA CAPELLI: Drums and Backing Vocals

domenica 12 giugno 2011

No Gravity - "Worlds In Collision"

Titolo: Worlds In Collision
Autore: No Gravity
Genere: Progressive Metal
Anno: 2011
Etichetta: Lion Music/Frontiers
Voto: 7,5
Sito internet: www.simonefiorletta.it






















Adoro quei progetti musicali prog/metal tanto in voga nell’ultimo decennio che nascono dalla collaborazione di grandi musicisti provenienti da varie bands, specialmente perchè il più delle volte i risultati sono nettamente superiori alle uscite delle bands di cui i singoli musicisti fanno parte. Forse staccare la spina dai propri impegni per concentrarsi su attività differenti giova alla creatività degli artisti…chi lo sa…
Ad ogni modo, tra i progetti migliori che mi è capitato di ascoltare negli ultimi anni cito sicuramente il secondo disco dei Liquid Tension Experiment, "Age Of Impact" del progetto Explorer’s Club, il primo episodio dei Transatlantic e "The Absolute Man" del progetto Leonardo, usciti quasi tutti verso la fine degli anni ’90.
Questa volta tocca all’Italia (finalmente!) ad essere protagonista, con il progetto No Gravity messo in piedi dal nostranissimo Daniele Fiorletta, talentuoso chitarrista e compositore che ha all’attivo diversi lavori solisti.
Per l’occasione sono stati reclutati importanti musicisti della scena prog metal italiana e internazionale: Davide Perruzza alle chitarre, Andrea De Paoli (Labyrinth) alle tastiere, Andrea Casali al basso e Marco Aiello alla batteria.
Dietro il microfono troviamo invece Michele Luppi (Los Angeles), Andy Kuntz (Vanden Plas), Emiliano Germani (Moonlight Comedy), Fabio Lione (Rhapsody of Fire), Mark Basile (DGM) e Roberto Tiranti (Labyrinth).
Musicalmente "Worlds In Collision" propone un progressive metal piuttosto canonico, tuttavia molto bello e curato sia nella scelta dei suoni che negli arrangiamenti. Inutile cercare a tutti i costi le influenze varie, ormai si sa che certi gruppi hanno fatto scuola e altri ne hanno ereditato gli insegnamenti. L’importante è non cadere nella citazione o nello “scopiazzamento”. Quello che conta insomma è la qualità della musica, che in questo caso tocca livelli davvero eccellenti.
La produzione è ottima e, come accennato poco sopra, i suoni sono molto curati. I brani sono tutti di media/lunga durata e moderatamente complessi, nel senso che c’è un attento dosaggio di cambi di tempo, riff intricati, assoli improvvisati e studiati e prestazioni vocali sempre in sintonia con la musica.
Si parte molto bene con la “dreamtheateriana” “Sailing On Sight”; segue “The Killer”, il brano forse meno ispirato del cd, e poi “I Can’t Dream Anymore”, uno tra i pezzi più belli dell’album, in cui tempi intricati si amalgamano alla perfezione con aperture melodiche d’atmosfera davvero affascinanti. Il brano è impreziosito da assoli di chitarri puliti, melodici e molto ispirati; alternati ad assoli di tastiera anch’essi molto belli in cui Andrea De Paoli diventa vero protagonista.
Da segnalare infine, sempre in questo brano, l’interpretazione di Andy Kuntz, bellissima.
Segue “Voices From The Past”, dove Fabio Lione si libera dal lirismo dei Rhapsody Of Fire per un approccio più moderno aggressivo che ricorda molto quello su “A New Religion” degli Athena, una delle sue performance migliori.
La successiva “Religious Beliefs” è la seconda perla del disco: riff ipnotici, distorsioni moderne e ritmi orientali creano un brano davvero eccezionale, potente e melodico allo stesso tempo, dominato dalla voce di Emiliano Germani.
“I’m Bleeding” è una ballad abbastanza sui generis dove ritroviamo con grande piacere un magnifico Michele Luppi, che come al solito si destreggia senza problemi tra parti soft e acuti improvvisi davvero da brivido.
In “Nowadays” è possibile godere di un’altra bellissima prestazione vocale: questa volta è il turno di uno scatenato Roberto Tiranti che da veramente il meglio di se. Sul finale troviamo “Touchin’ My Enemy”, un brano più d’atmosfera, e la conclusiva “Unexpected Gift”: 10 minuti di progressive metal suonato come si deve: tecnico, melodico, variegato, con l’impiego di suoni particolari e ricercati per creare atmosfere oniriche..
Alla fine del cd non si può fare altro che ripremere play e complimentarsi con Fiorletta e soci per lo splendido lavoro svolto.
Bravi davvero.

Tracklist:

01. Sailing On Sight
02. The Killer
03. Can't Dream Anymore
04. Voices From The Past
05. Religious Beliefs
06. I'm Bleeding
07. Nowadays
08. Touchin' My Enemy
09. Unexpected Gift

Lineup

Simone Fiorletta – Acoustic and Electric Guitars
Davide Perruzza – Electric Guitars
Andrea De Paoli – Keyboards
Andrea Casali – Bass
Marco Aiello – Drums

Michele Luppi – Vocals on Track 6
Andy Kuntz – Vocals on Track 3
Emiliano Germani – Vocals on Tracks 1, 5, 8, 9
Fabio Lione – Vocals on Track 4

mercoledì 8 giugno 2011

Dark Horizon - "Angel Secret Masquerade"

Titolo: Angel Secret Masquerade
Autore: Dark Horizon
Genere: AOR
Anno: 2010
Etichetta: Underground Symphony Records
Voto: 7,5
Sito internet: www.darkhorizon.eu


Classe, eleganza, stile…non ci sono aggettivi migliori per descrivere “Angel Secret Masquerade”, il nuovo bellissimo album dei Dark Horizon.
Attiva dal 1996, questa giovane band piacentina si è imposta subito sul mercato con un hard/aor/heavy di alta qualità, distaccandosi dai canoni dei generi in favore di un approccio di maggior spessore qualitativo attraverso l’uso di barocchismi e soluzioni originali curati nei minimi particolari. E così, dopo l’ottima accoglienza del precedente “Dark Light’s Shades”, spetta al nuovo arrivato il ruolo di “degno successore”, interpretato direi magistralmente.
L’impressione che si ha fin dalle prime note dell’album è quella di trovarsi di fronte a una band matura, composta da musicisti tecnicamente preparati e dal ricco bagaglio musicale, che spazia tra generi anche fuori dal rock.
Tanto per intenderci: i Dark Horizon suonano musica con la M maiuscola, senza perdersi in fronzoli e canzonette, ma neanche esagerando in virtuosismi o divagazioni che spesso rendono i brani poco accessibili. C’è una giusta commistione di tecnica e melodia che garantisce una certa fruibilità.
I suoni sono nitidi e curati, complici anche i lavori presso gli ormai gettonatissimi Finnvox Studio finlandesi; tutto il disco in generale suona fresco e moderno, per un risultato davvero eccellente.
Come marcato all’inizio, è difficile ingabbiare la band in un genere preciso. L’aor di base infatti si tinge qua e la di prog (“Empty Mirrors”, “End Of The Days”), a tratti si indurisce per sfociare nell’hard rock veloce di brani come “Battle Rages On” e “Far Away”, per poi raggiungere alti livelli in brani melodici e ariosi come la ballad “Silently My Life Falls” o la bellissima “The Age Of The Light”, a mio avviso la migliore del lotto.
La prestazione dei singoli musicisti è davvero impeccabile, tuttavia vale la pena segnalare l’ottima prova di Roberto Quassolo, cantante versatile e fortunatamente lontano dalle “sirene” a cui ci siamo assuefatti in questi ultimi anni; e quella di Luca Capelli, batterista estroverso e fantasioso che impreziosisce i brani con virtuosismi mai fini a se stessi.
Con “Angel Secret Masquerade” i Dark Horizon si confermano a pieno titolo come una delle migliori band italiane in campo hard’n’heavy.


Tracklist:

1. Empty Mirror
2. It Takes a Miracle
3. Liar
4. Battle Rages On
5. My Life
6. Silently The Nights Falls
7. Where here The Angels Gone
8. Away
9. The Angel of The Light
10. End of the Days


Lineup

Roberto Quassolo - voce e cori
Daniele Mandelli - chitarra elettrica e acustica
Alessandro Battini - tastiere
Luca Capelli - batteria

domenica 29 maggio 2011

Anvil - "Juggernaut Of Justice"

Titolo: Juggernaut Of Justice
Autore: Anvil
Genere: Heavy Metal
Anno: 2011
Etichetta: The End
Voto: 6,5
Sito internet: www.anvilmetal.com




Juggernaut = unstoppable force.
Questa è la definizione del termine Juggernaut che ho trovato sul mio dizionario di inglese monolingue. E in fondo questo aggettivo ben si addice agli Anvil, band dal passato glorioso che negli anni 2000 ha cercato di fare del proprio meglio per riemergere dal dimenticatoio in cui si era inabissata.
E questa volta direi che ci siamo.
Dopo gli ultimi deludenti album in studio i tre canadesi scrivono con “Juggernaut Of Justice”  un disco di puro heavy metal di stampo americano, massiccio e potente, proprio come ci avevano deliziato agli inizi della loro carriera.
Gli anni passano, l’età dell’oro di "Hard’n’Heavy" e "Metal On Metal" è ormai dissolta (i capelli di Lips si sono afflosciati...) ma la passione e la grinta sono sempre le stesse di allora, ingredienti fondamentali per la riuscita di un album destinato a diventare un classico della band.
Si parte subito in pompa magna con la title track, un mid tempo da headbanging che nella sua semplicità risulta di impatto forte e convincente. Il songwriting generale è ispirato, e ogni brano è appetibile. Con “When Hell Breaks Loose” si comincia a fare sul serio; ci si ferma un attimo con la pesante "New Orleans Voo Doo" per poi ripartire in quarta con il rock-metal di "On Fire", "Fuken Eh!" e "Turn It Up".
I brani sono brevi e relativamente semplici, costruiti sulla classica struttura riff-bridge-refrain-assolo, tuttavia denotano una freschezza e una forza molto coinvolgenti che invogliano al riascolto al massimo del volume. Certo qualche brano non è proprio all’altezza della situazione ("Not Afraid", "Running" e la sabbathiana "Paranormal" ad esempio) e la parte solistica lascia un po’ a desiderare, ma l’impatto nel complesso è di quelli che spaccano, pertanto per chi cerca un buon disco di sano heavy metal, "Juggernaut Of Justice" è più che consigliato.
Da segnalare che anche l’artwork è in piena tradizione anvil: pacchiano e raffigurante l’incudine, trademark della band.

Tracklist:

01. Juggernaut Of Justice
02. When Hell Breaks Loose
03. New Orleans Voodoo
04. On Fire
05. Fuckin' Eh
06. Turn It Up
07. The Ride
08. Not Afraid
09. Conspiracy
10. Running
11. Paranormal
12. Swing Thing

Lineup

Lips - Voce, Chitarra
Robb Reiner - Batteria
Glenn Five - Basso

lunedì 23 maggio 2011

Michael Monroe - "Sensory Overdrive"

Titolo: Sensory Overdrive
Autore: Michael
Genere: Hard Rock/Sleazy Rock
Anno: 2011
Etichetta: Spinefarm Records
Voto: 7
Sito internet: www.michaelmonroe.com


Costanza è passione. Questi sono gli ingredienti fondamentali che portano alla riuscita di un ottimo disco come “Sensory Overdrive” del biondo Michael Monroe.
Nonostante la sua carriera solista non abbia mai commercialmente decollato, Michael non si è mai arreso, battendosi sempre per la causa del rock collaborando con tanti colleghi del settore e sfornando ottimi album. E l'impegno paga sempre, soprattutto dal punto di vista della qualità. Anche quest'ultimo capitolo infatti è un gran disco di puro e sano rock “stradaiolo”.
Alla soglia dei 50 anni la grinta di Michael è sempre la stessa e le intenzioni sono subito chiare fin dall’opener "Trick Of The Wrist:" rock’n’roll allo stato puro senza tanti fronzoli. Il tutto gronda sudore e passione creando un atmosfera da club newyorkese pieno di fumo e maleodorante, e traccia dopo traccia non si può fare a meno di immedesimarsi in una tipica serata rock.
Le canzoni sono brevi e musicalmente semplici, ma ruvide e cariche quanto basta per graffiare già dopo il primo ascolto. E allora via con "’78", la cadenzata e tirata "Modern Day Miracle" (il classsico hit che dal vivo farà strage), "Later Won’t Wait", e "Center Of Your Heart" (dal break centrale più “riflessivo” in cui Michael sfoggia il suo talento con il sax); questi i brani migliori, se proprio si vuole fare una classifica, ma in fondo…chi se ne frega! Ogni brano ha il suo fascino.
“Sensory Overdrive” è il classico disco che ti rende felice, per l’energia che trasmette ma soprattutto perché testimonia che il rock’n’roll è vivo e vegeto e che in giro c’è ancora gente capace di suonarlo, senza compromessi.

Tracklist:

01. Trick Of The Wrist
02. '78
03. Got Blood?
04. Superpowered Superfly
05. Modern Day Miracle
06. Bombs Away
07. All You Need
08. Later Won't Wait
09. Gone, Baby Gone
10. Center Of Your Heart
11. Debauchery As A Fine Art

Lineup

Michael Monroe - Voce, sax e armonica
Ginger - Chitarra
Steve Conte - Chitarra
Sami Yaffa - Basso
Kalle Rosqvist - Batteria

giovedì 19 maggio 2011

Leaves' Eyes - "Meredead"

Titolo: Meredead
Autore: Leaves' Eyes
Genere: Symphonic Metal
Anno: 2011
Etichetta: Napalm Records
Voto: 6
Sito internet: www.leaveseyes.de
Myspace: www.myspace.com/leaveseyespage



I Leave’s Eye sono il risultato della fusione di alcuni membri degli Atrocity e di Liv Kristine, ex cantante dei Theatre Of Tragedy.
La band propone un symphonic metal con elementi gotici e inserti folk, inserendosi in quel filone musicale abbastanza in voga di questi tempi capitanato da Nightwish e Within Temptation.
Quest’ultimo “Meredead” è un concept album sulla figura mitologica delle sirene, e nonostante la struttura apparentemente complessa del disco l’approccio musicale è piuttosto commerciale, a partire dai suoni di chitarra molto morbidi, tant’è che in alcuni frangenti si può parlare di un gothic rock orecchiabile tipo quello degli Him o degli Evanescense.
L’album nel complesso non è male, manca però di mordente e personalità. Nonostante la produzione perfetta e cristallina i brani sono fiacchi, sia dal punto di vista del songwriting che da quello dei suoni, specialmente quelli delle chitarre che in certi punti si riducono al classico suono di “zanzara” che serve più da sottofondo che da struttura portante dei brani. E non bastano la bella voce di Liv Kristine (che nei punti più lirici è pressoché uguale a Tarja Turunen) e le atmosfere sognanti creati dalle tastiere per fare decollare il tutto.
Mancanza di personalità dicevo, perché la musica dei Leave’s Eye si avvicina troppo alle ultime produzioni dei loro colleghi più blasonati, tant’è che in più punti alcuni brani sono simili ad altri  (il ritornello di Mine Taror Er Ei Grimme ad esempio si avvicina molto a quello di Kuolema Tekee Taiteilijan dei Nightwish), inoltre gli intermezzi celtici messi a contorno dei brani ricordano inevitabilmente le atmosfere eteree di "Mother Earth" dei Within Temptation.
In definitiva in un album discreto (perché comunque si lascia ascoltare piacevolmente) con delle buone idee, penalizzato per l’eccessiva fruibilità.

Tracklist:

01. Spirits’ Masquerade
02. Étaín
03. Velvet Heart
04. Kråkevisa
05. To France (MIKE OLDFIELD cover)
06. Meredead
07. Sigrlinn
08. Mine Tåror er ei Grimme
09. Empty Horizon
10. Veritas
11. Nystev
12. Tell-Tale Eyes
13. Sorhleod (bonus track)

Lineup

Liv Kristine Espenæs Krull - Vocals
Alexander Krull - Vocals, programming
Torsten Bauer - Guitar, Bass
Sander Van Der Meer - Guitar
Roland Navratil - Drums

martedì 10 maggio 2011

Within Temptation - "The Unforgiving"

Titolo: The Unforgiving
Autore: Within Temptation
Genere: Symphonic/Gothic Metal
Anno: 2011
Etichetta: Roadrunner Records
Voto: 7
Sito internet: www.within-temptation.com



Era inevitabile.
Dopo il successone (tutto meritato) di bellissimi album in studio ("Mother Earth in primis") e due album dal vivo (uno acustico e uno con orchestra, da brivido!), era inevitabile che anche i Within Tempation rimanessero intrappolati nel malefico meccanismo del music businnes che già li aveva “tentati” in "The Heart Of Everything", le cui sonorità strizzavano l’occhio al gothic rock più easy listening di Him o Evanescense.
Con il nuovo "The Unforgiving" i Within Temptation imboccano la strada del concept album, realizzando un prodotto concettualmente lodevole, un po’ più scarso però dal punto di vista prettamente musicale.
Tutto il disco infatti si muove in territori molto commerciali, con una manciata di brani orecchiabili da canticchiare in macchina (magari mentre ci si apparta…) e in certi casi anche da ballare, come ad esempio "Sinead", il brano più “dance” del lotto, per il quale è stato realizzato un video, girato, neanche farlo apposta, in una discoteca.
Il disco nel complesso è carino, perché nonostante la semplicità dei brani non si può non apprezzare canzoni come "Faster", "Shot In The Dark" o la già citata "Sinead". Se però si pensa alle prime produzioni della band, dispiace non avvertire più quell’originalità che certe atmosfere folk/celtiche riuscivano a creare.
E’ ormai chiaro che album come "Mother Earth" o "The Silent Force" sono irripetibili, però la sterzata soft/rock di "The Unforgiving" lascia un po’ d’amaro in bocca. I Within Temptation sono diventati, tanto per essere schietti, una band commerciale come tante, di enorme popolarità certo, ma qualitativamente sotto la media.
Anche la voce di Sharon ha perso in originalità. Non tanto per la qualità della voce, (sempre limpida e bellissima), ma per la tecnica esecutiva. Troviamo infatti meno aperture liriche ed è praticamente scomparsa la voce “bambina” alla Kate Bush che impreziosiva i primi lavori.
Speriamo che dopo il fragore di questo album i Within Temptation decidano di puntare nuovamente sulla qualità per tornare a fare davvero la differenza.

Tracklist:

1.Why Not Me
2.Shot in the Dark
3.In the Middle of the Night
4.Faster
5.Fire and Ice
6.Iron
7.Where Is the Edge
8.Sinéad
9.Lost
10.Murder
11.A Demon's Fate
12.Stairway to the Skies

Lineup

Sharon Den Adel - vocals
Robert Westerholt - guitars
Ruud Jolie - guitars
Martijn Spierenburg - keyboards
Jeroen van Veen - bass guitar


sabato 7 maggio 2011

Everon

Titolo:  North (2008) - Flesh (2002)
Autore: Everon
Genere: Progressive Rock
Voto: 7
Sito Internet: www.everon.de

Everon è il nome di una band tedesca capitanata dal polistrumentista Oliver Philipps, scoperta leggendo per puro caso la recensione del loro ultimo lavoro intitolato "North".
Attratto dalla proposta musicale descritta nella recensione (un genere non ben definito, un mix di musica strumentale con partiture tipicamente classiche e musica rock ed elettronica), ho acquistato il cd ad occhi chiusi. Ed il risultato è stato davvero esaltante.
La figura del leader Oliver Philips (musicista poliedrico e principale compositore) mi ha ricordato molto quella di Arjen Anthony Lucassen, specialmente per l’apertura a tutte le influenze e a diversi stili di musica senza pregiudizi.
Anche il muoversi indipendentemente al di fuori delle mode e del music business accomuna Everon agli Ayreon (non a caso sul sito ufficiale, nella pagina dei siti amici, compare anche il sito di Ayreon).
Dal punto di vista musicale però le differenze sono notevoli: Ayreon si muove su un terreno tipicamente progressive metal, con incursioni nell’ambient ed inserti medievaleggianti, mentre gli Everon prediligono architetture più classiche e tradizionali che toccano anche lidi hard rock quando decidono di tirare fuori le unghie, senza però mai eccedere in velocità o aggressività.
Questo approccio caratterizza tutto "North", ricco di melodie intense e raffinate che riescono a trasportare l’ascoltare davvero verso…nord. E’ il caso della dolce e malinconica “Islanders” o di "Woodworks", che riportano alla mente paesaggi autunnali e lande desolate.
Molto belle anche "Hands" e "South of London", dove la chitarre elettrica graffia quanto basta, senza invadere la delicata struttura sottostante. Ma in generale tutti i brani sono di alto livello e durante l’ascolto si percepisce una piacevole sensazione di pace e benessere.
Tecnica, eleganza e melodia si fondono insieme creando il vero punto di forza del gruppo.
Grande lavoro anche il precedente "Flesh", 2002, dall’impronta però più elettronica. Su questo album infatti prevale l’uso di sintetizzatori e tastiere che, insieme alle chitarre, riescono a creare brani suadenti e pieni di atmosfera come "Missing From The Chain", "Half As Bad" e "Back Insight" (quest’ultima stupenda), per un trittico davvero da brivido.
Atmosfere oniriche, intense, calde e calme, a dispetto della copertina fredda e "mostruosa".
La sezione ritmica è ottima, ogni membro del gruppo si lancia in esecuzioni al limite della perfezione. Unica pecca forse la voce di Oliver, non brutta, ma a mio avviso poco adatta al genere proposto (e in effetti in molti brani fa capolino la delicata voce di Judith Stüber, ospite sui due album)
In definitiva due gran bei dischi, due piacevoli sorprese. Un’altra grande band fuori dal coro.
North (2008)


Tracklist:

[01] Hands
[02] Brief Encounter
[03] From Where I Stand
[04] Test Of Time
[05] North
[06] South Of London
[07] Wasn't It Good
[08] Woodworks
[09] Islanders
[10] Running

Flesh (2002)

Tracklist:

[01] And Still It Bleeds
[02] Already Dead
[03] Pictures Of You
[04] Flesh
[05] Missing From The Chain
[06] The River
[07] Half As Bad
[08] Back In Sight

mercoledì 4 maggio 2011

Gamma Ray - "Skeletons & Majesties"

Titolo: Skeletons & Majesties
Autore: Gamma Ray
Genere: Power Metal
Anno: 2011
Etichetta: earMusic
Voto: 5,5
Sito internet: www.gammaray.org


Interessante operazione commerciale questo “Sekeletons And Majesties” dei Gamma Ray. A botta fresca, il ripescaggio/riarrangiamento di vecchi brani appartenenti al passato più lontano potrebbe apparire un patetico tentativo di sopperire alla calo di creatività che la band sta vivendo da qualche anno a questa parte. Poi però ci si accorge subito che la scelta non è del tutto sbagliata. Anzi, era ora che Kai Hansen si decidesse a suonare nuovamente le belle canzoni di un tempo, quelle dei primi tre album tanto per intenderci.
Con gli ultimi lavori i Gamma Ray non hanno fatto altro che ripetersi e scopiazzare, sfornando album mediocri con canzoni degne di sigle dei cartoni animati (l’esempio più lampante è l’ultimo “To The Metal”, disco ridicolo a partire proprio dal titolo). Pertanto ben venga la riproposizione delle vecchie glorie!
Ce ne sono tanti, ma questo mini cd offre solamente “Hold Your Ground” (tratta da “Heading For Tomorrow”) e “Brothers” (da “Insanity And Genius”), riarrangiate egregiamente anche se a mio avviso le versioni originali, con Ralf Scheepers alla voce, sono nettamente migliori.
Discrete anche le versioni acustiche di “Send Me A Sign” e “Rebellion In Dreamland”.
Unica nota di demerito è la voce di Kai Hansen, che peggiora anno dopo anno e per niente adatta alle versione acustiche incentrate sulle tonalità basse.
Attendo con ansia l’uscita ufficiale di questo pseudo best of.

Tracklist:

Skeletons
01. Hold Your Ground
02. Brothers

Majesties

03. Send Me A Sign
04. Rebellion In Dreamland

Bonus Tracks:

05. Wannabees

Lineup

Kai Hansen - Voce, Chitarra
Henjo Richter - Chitarra, Tastiere
Dirk Schlächter - Basso
Dan Zimmermann - Batteria

sabato 30 aprile 2011

King Diamond - "Give Me Your Soul...Please"

Titolo: Give Me Your Soul...Please
Autore: King Diamond
Genere: Heavy Metal
Anno: 2007
Etichetta: Massacre Records
Voto: 6
Sito internet: www.covenworldwide.com


Amo King Diamond alla follia, di conseguenza ogni parola che scrivo è sicuramente influenzata dalla passione per questo immenso Gruppo, e ci tengo a usare la G maiuscola perché è vero che King è un genio, (è il Re!), ma gran parte del successo lo deve anche ai validissimi musicisti di cui si è sempre circondato nella sua lunga carriera.
Ogni uscita targata King Diamond è sinonimo di alta qualità, tuttavia da qualche anno a questa parte anche la vena creativa di King ogni tanto da segni di cedimento, con uscite non sempre all’altezza della situazione.
La carriera discografica di King Diamond si può dividere in due parti: la prima (la migliore e la più fortunata) va dall’esordio fino al 1995, comprendente classici come “Abigai”l e “Them” e altri grandi album come “The Eye” e “The Spyder’s Lullabye”; la seconda comincia con il deludente “The Graveyard”, si risolleva leggermente con “Voodoo”, scivola nuovamente su “The House Of God” per poi rialzarsi magnificamente con “Abigail pt. II” e “The Puppet Master” (più un ottimo live album).
Quest’ultimo “Give Me You Soul…Please” purtroppo si posa sul lato sbagliato della bilancia, avvicinandosi ad album poco ispirati come “The Graveyard” e “House Of God”.
Il primo punto debole risiede nei suoni, sottili e scarni proprio come nei due dischi appena citati. In passato il suono delle chitarre era potente e corposo, e insieme a basso e batteria la resa generale era veramente heavy. Ora invece il tutto suona molto leggero, più freddo e di conseguenza privo di forza.
Il secondo punto debole invece è la struttura dei brani, semplici, meno intricati che in passato e con assoli meno ispirati.  “Never Ending Hill” e “Is Anybody Here” sono un esempio di quanto esposto finora: brani sotto la media e scarni dove King più che cantare sembra recitare un testo. A dirla tutta l’atmosfera di queste canzoni (e di altre come “Mirror Mirror” e la title track) si adatta più ai Mercyful Fate che a King Diamond.
Sia chiaro: il disco nel complesso non è male, il discorso fatto all’inizio circa il marchio di qualità di King Diamond vale sempre, tuttavia siamo molto lontani dagli standard a cui ci eravamo abituati.
Difficile fare una classifica dei brani, l’unico che mi è rimasto impresso è “The Floating Head”, con il suo riff secco e tagliente accompagnato da un bell’assolo verso la fine.
Insomma, peccato…ma non c’è da preoccuparsi più di tanto, presto King si rimetterà in carreggiata e sfornerà un nuovo capolavoro! Ne sono certo.

Tracklist

1) The dead - 1:57 (Diamond)
2) Never Ending Hill - 4:37 (La Rocque/Diamond)
3) Is Anybody Here? - 4:13 (Diamond)
4) Black of Night - 4:01 (La Rocque/Diamond)
5) Mirror Mirror - 5:00 (Diamond)
6) The Cellar - 4:31 (La Rocque/Diamond)
7) Pictures in Red - 1:27 (La Rocque/Diamond)
8) Give Me Your Soul - 5:29 (La Rocque/Diamond)
9) The Floating Head - 4:47 (La Rocque/Diamond)
10) Cold as Ice - 4:30 (Diamond)
11) Shapes of Black - 4:22 (Diamond)
12) The Girl in the Bloody Dress - 5:07 (Diamond)
13) Moving on - 4:06 (Diamond)

Lineup

King Diamond - voce, tastiere
Andy LaRocque - chitarra, tastiere
Mike Wead - chitarra
Hal Patino - basso
Matt Thompson - batteria
Livia Zita - voce addizionale

martedì 19 aprile 2011

Artillery - "My Blood"

Titolo: My Blood
Autore: Artillery
Genere: Thrash
Anno: 2011
Etichetta: Metal Mind Production
Voto: 7
Sito internet: www.artillery.dk




















Per fortuna l’abito non fa il monaco, perché se si dovesse giudicare i dischi degli Artillery dalle copertine ci sarebbe da rabbrividire!
Ma fortunatamente ciò che conta è la sostanza, e con gli Artillery si va sempre a colpo sicuro.
Pare che la band stia proprio vivendo una seconda giovinezza dal punto di vista creativo. Dopo l’annunciata reunion nel 2007, concretizzatasi due anni più tardi con la pubblicazione di “When Death Comes” (una bastonata thrash come non si sentiva da parecchio tempo), gli Artillery si sono subito rintanati in studio per dare alla luce il degno successore che risponde al nome di “My Blood”.
Ed è proprio la musica ad essere la linfa vitale di questi quattro ragazzi (un po’ cresciutelli) che nel 2011 suonano un genere che trasuda passione da ogni nota. Stilisticamente non ci sono novità, il sound degli Artillery non è cambiato nel corso degli anni rimanendo saldamente ancorato a un classico thrash metal veloce, potente e tecnico, condito da un pizzico di melodia che rende i brani più fruibili e tirati, specialmente nei ritornelli. Su tutto troneggia la voce potente e sguaiata di Nico Adamsen.
La produzione è ottima, i suoni sono limpidi e ben definiti. I brani sono tutti di alto livello e la prima parte del cd non concede tregua: “Mi Sangre”, “Monster”, “Death Is An Illusion”, “Dark Days” e “Aint’ Giving In” picchiano davvero duro. Ma dopo la tirata e un po’ commerciale “Thrasher” (un inno metallico da urlare dal vivo: “Raise your hands/Thrasher!/Bang your head/Thrasher!/Scream it out/Thrasher”!) c’è un leggero calo del disco con brani un po’ più deboli (“Warrior Blood” , “Concealed In The Dark”, “The Great”) che comunque non vanno a intaccare il valore complessivo dell’album.
Il cd è disponibile anche in versione digipack, contenente due classici degli Artillery, “Show Your Hate” ed “EternalWar”, tratti dal primo lavoro “Fear Of Tomorrow” del lontano 1985 e riarrangiati per l'occasione.
Dopo ripetuti ascolti, l’impressione che “My Blood” sia leggermente inferiore a “When Death Comes” è piuttosto evidente. “My Blood” è un album più diretto, con brani meno strutturati e più lineari, e dunque di più facile assimilazione (ma non banali, sia chiaro).
Il giudizio finale comunque non può essere che positivo. Gli Artillery sono sinonimo di garanzia in fatto di musica di qualità.

Tracklist

1. Mi Sangre (The Blood Song)
2. Monster
3. Dark Days
4. Death Is An Illusion
5. Ain´t Giving In
6. Prelude To Madness
7. Thrasher
8. Warrior Blood
9. Concealed In The Dark
10. End Of Eternity
11. The Great

Lineup

Søren Adamsen - voce
Michael Stützer - chitarra
Morten Stützer - chitarra
Anders Gyldenøhr - batteria (Hatesphere)
Mikael Ehlert - basso (Hatesphere)