domenica 27 febbraio 2011

Anathema: la voce del silenzio

Titolo: Judgement
Autore: Anathema
Genere: Prog/Gothic Rock
Anno: 1999
Etichetta: Music For Nations
Voto: 7,5
Sito internet: www.anathema.ws













Correva l’anno 1999 quando uscì il settimo studio album degli inglesi Anathema, dall’apocalittico titolo “Judgment”. Mi ha sempre incuriosito la copertina, mi colpiva ogni volta che mi capitava sott’occhio, quasi avesse un effetto ipnotico. Tuttavia a quel tempo non ero ancora avvezzo a certe atmosfere e sonorità, per cui non mi sono mai interessato a quel cd e al gruppo in generale.
Da qualche anno a questa parte invece ho imparato ad apprezzare l’aspetto più morbido della scena gothic rock/metal (Nightwish, Within Temptation, Him, Evergrey) e nel 2008 decisi di acquistare quello che si rivelò un bellissimo cd.
Documentandomi sugli Anathema, scoprii che la band proponeva agli esordi un Doom Metal di buon fattura grazie al quale raggiunse un discreto successo. Poi con il passare del tempo si distaccò sempre più dal genere per accostarsi a sonorità più ricercate e introspettive dalle atmosfere cupe e malinconiche tipiche del Gothic Metal (un po’ la strada seguita dai connazionali Paradise Lost).
Già sul precedente “Eternity” si avvertono le prime avvisaglie di questo cambio di rotta, tuttavia è proprio con "Judgment" che la frattura si fa più marcata.
Il disco è un ottimo concentrato di rock molto influenzato dai Pink Floyd, dalle tinte leggermente psichedeliche ("Parisienne Moonlight)" con spaziature nell’ambient, il tutto inserito un contesto gothic.
Ascoltando questo cd nel complesso, non si può fare a meno di notare di come la musica degli Anathema sia la voce del silenzio e dell'inverno, della solitudine e dell’abbandono. Il tempo sembra acquistare un ritmo diverso, a tratti più lento ma comunque inesorabile, ed è proprio lo scorrere del tempo (e della vita che lenta si spegne) il tema centrale di tutto il disco. La prima traccia, "Deep", ben rappresenta lo spirito dell’intero cd.
E’ difficile stilare una classifica dei brani migliori, essendo tutti molto belli e di alta qualità. Spiccano però per eleganza e intensità "Forgotten Hopes", "Make It Right" (con le tastiere in rilievo che mi ricordano un po’ Space-dye Vest dei Dream Theater), "One Last Goodbye", estremamente malinconica, "Judgment", dove un rock duro di colpo erompe; e su tutte "Emotional Winter", con un intro di “chitarra gabbiano” che suona Pink Floyd al 100%.
Chi non è avvezzo a sonorità cupe e malinconiche non apprezzerà la musica degli Anathema. Chi invece ha tempo per mettersi comodamente in poltrona e lasciarsi avvolgere da atmosfere oniriche capaci di emozionare e trascinare l'ascoltatore su mondi lontani, troverà con questo "Judgment" la propria/un’altra dimensione.

“Time recedes every day
You can search your soul but you won't see
As we pass ever on and away
Towards some blank infinity”
(Deep)

Tracklist

1) Deep
2) Pitiless
3) Forgotten Hopes
4) Destiny Is Dead
5) One Last Goodbye
6) Make It Right (F.F.S.)
7) Parisienne Moonlight
8) Don't Look too Far
9) Emotional Winter
10) Wings of God
11) Judgement
12) Anyone, Anywhere
13) 2000 & Gone
14) Transacoustic*

Lineup

Vincent Cavanagh - Voce, Chitarre
Danny Cavanagh - Chitarra elettrica, Chitarra acustica, Tastiere
John Douglas - Batteria
Dave Pybus - Basso

venerdì 25 febbraio 2011

Grave Digger - "Ballads Of A Hangman"





Titolo: "Ballads Of A Hangman"
Autore: Grave Digger
Genere: Power Metal
Anno: 2009
Etichetta: Napalm Records
Voto: 6,5
Sito internet: www.grave-digger-clan.com



Puntuali come un orologio svizzero, tornano dopo due anni i teutonici Grave Digger con il nuovo album, dall’eccentrico titolo “Ballads Of A Hangman”. Disco che farà sicuramente felici i fan più sfegatati, ma che deluderà quella schiera di sostenitori che, pur amando il gruppo alla follia, non si accontenta più della solita minestra.
In vent'anni di onorata carriera dedita all’heavy metal più intransigente ed incontaminato, i Grave Digger hanno prodotto musica di eccellente qualità incuranti delle mode del momento; hanno incendiato le platee di mezzo mondo con esibizioni devastanti e coinvolgenti, sono diventati una della punte di diamante del power metal tedesco e… E poi? E poi si sono fermati.
Da qualche anno la vena compositiva del gruppo si è infatti assopita, e non è bastato l’inserimento di una seconda chitarra, Thilo Hermann (ex Running Wild), per sollevare il velo di polvere che si era posato su “The Last Supper”, inspessitosi poi sul penultimo “Liberty Of Death”.
Il punto debole degli ultimi Grave Digger non è la mancanza di originalità, perché originali non lo sono mai stati. Quello che manca è proprio la bella musica. L’impressione è che i Grave Digger, forti di un successo ben consolidato con il pubblico e sul mercato, si siano adagiati sugli allori, proponendo con lo stampino una formula ben collaudata ma ahimè priva di personalità: riff potenti e d’assalto, ritmi spaccaossa che al primo accenno fanno sobbalzare, ma dopo un minuto già perdono qualsiasi effetto, invitando l’ascoltatore a passare alla traccia successiva.
Ma veniamo al disco nello specifico. Dopo l’immancabile intro si parte un po’ in sordina con la title track, dal ritornello epico un po’ troppo ripetuto, ma tutto sommato carino. Segue una priestiana “Hell Of Disillusion”, brano potente che farà sicuramente strage in sede live (ma non esaltante su cd), per poi passare all’unica traccia veramente riuscita del disco: “Sorrow Of The Dead”. Riff iniziale potente e diretto (alla William Wallace, tanto per intenderci), ritmo incalzante e ritornello molto melodico, che mi hanno riportato alla mente il bellissimo (ma sottovalutato) “The Grave Digger” del 2001, nel quale Manni Schmidt aveva veramente fatto la differenza.
A metà cd troviamo un lento, ”Lonely The Innocence Dies”, a mio avviso uno dei peggiori che i Grave Digger abbiano mai scritto. Un pessimo pezzo ulteriormente guastato dalla voce stridula ed insignificante di Veronica Freeman dei Benedictum, ospite per l’occasione.
Del resto del lotto si salvano la priestianissima “The Shadow Of Your Soul” e la conclusiva "Pray", commerciale e dal ritornello catchy (ma comunque carina) che ha fatto da singolo apripista per il full lenght.
La versione speciale in mio possesso contiene anche la cover dei Thin Lizzy “Jailbreak”, arrangiata alla Grave Digger maniera.
Dopo ripetuti ed approfonditi ascolti (compreso l’ascolto a tutto volume in macchina per testare l’effetto sull’acceleratore, per me una sorta di prova del nove), poco o niente rimane impresso di questo cd. I brani non sono brutti, sia chiaro, non siamo di fronte a un disco scandaloso. Tuttavia sono deboli, senza effetto e senza “tiro”. Non coinvolgono; a fatica si ricordano i ritornelli, spesso banali.
Credo che i Grave Digger possano e debbano fare di più. In attesa del “colpo grosso” gustiamoci le esibizioni live, dove i nostri danno sempre il massimo e il meglio sè stessi.

Tracklist:

1. The Gallows Pole
2. Ballad Of A Hangman audio
3. Hell Of Disillusion
4. Sorrow Of The Dead
5. Grave Of The Addicted
6. Lonely The Innocent Dies
7. Into The War
8. The Shadow Of Your Soul
9. Funeral For A Fallen Friend
10. Stormrider
11. Prey

Line up:

Chris Boltendahl - Voce
Manni Schmidt - Chitarra
Thilo Hermann - Chitarra Ritmica
Hans Peter Katzenburg - Tastiere
Jens Becker - Basso
Stefan Arnold - Batteria

Ayreon - "01011001"

Titolo: "01011001"
Autore: Ayreon
Genere: Progressive Metal
Anno: 2008
Etichetta: InsideOut Music
Voto: 9
Sito internet: www.arjenlucassen.com





Ritorna l'eclettico e instancabile Anthony Arjen Lucassen con un nuovo capitolo del suo progetto principale Ayreon.
In questo bellissimo 01011001” Lucassen torna ad affrontare le tematiche spaziali a lui tanto care, dopo la parentesi "terrena" dell'ottimo “The Human Equation” del 2004, e sembra proprio che sia la "space opera" la giusta dimensione di Ayreon, visto che questo ultimo lavoro - a detta di chi scrive - si rivela superiore al precedente, di livello tranquillamente accostabile ai masterpieces “The Final Experiment” e “Universal Migrator 1 & 2”.
Ma andiamo per gradi: anche questa volta, in piena tradizione Ayreon, ci troviamo di fronte ad un concept. La storia narrata è un’evoluzione di quella iniziata con “The Final Experiment”, accennata poi alla fine di “Into the Electric Castle” e ripresa in “Universal Migrator”, tant’è che leggendo i testi con attenzione si trovano facilmente riferimenti a queste opere. Lo stesso discorso vale più o meno anche per l'aspetto musicale: “01011001” presenta tutte le sfaccettature più interessanti dello stile di Ayreon a cui siamo abituati: gli inserimenti folk (“River of Time”), le atmosfere suggestive e darkeggianti (“Age of Shadows”, "Unnatural Selection”, “The Sixth Extinction”), gli spazi ambient (“Comatose”), i brani più muscolosi di puro stampo Heavy e quelli facilmente assimilabili dal ritornello catchy, senza mai cadere sulla banalità (come la melodica “Ride The Comet”). Il tutto mescolato ed assemblato ad arte con il solito gusto e la solita classe del polistrumentista Arjen.
Sempre come da tradizione, anche questa volta Lucassen si è avvalso della collaborazione di più artisti, la maggior parte conosciuta a livello internazionale e mondiale più qualche artista sconosciuto.
Tra le voci maschili vale la pena di citare Jorn Lande, possente e grintoso come al solito, anche se il meglio emerge in questo caso nelle parti più soft (molto bella la performance in “Comatose”); Daniel Gildenlow dei Pain of Salvation, che certo non si risparmia sulle note più alte; Jonas P. Renske dei Katatoniam, al centro della scena nelle parti più malinconiche e Steve Lee dei Gotthard, unico nel suo stile. Molto belle, ma senza eccessi, le prestazioni di Bob Catley e Hansi Kursch, quest’ultimo richiesto a gran voce dai fans, a detta di Lucassen. Tra le voci femminili, invece, spiccano per bellezza interpretativa Anneke Van Giersbergen, dolce e suadente, una meravigliosa e brillante Simone Simons (Epica) e la prorompente Magali Luyten, ruvida, possente e graffiante.
Il risultato finale è un ottimo album di progressive metal, molto più dark rispetto alle uscite precedenti, ma in ogni caso di altissimo livello.
Da segnalare l’eccezionale produzione, come al solito merito degli “Electric Castle Studios) di proprietà dello stesso Arjen.
Di sicuro, uno delle migliori uscite del 2008.

Tracklist:

CD 1:
1. Age Of Shadows
2. Comatose
3. Liquid Eternity
4. Connect The Dots
5. Beneath The Waves
6. New Born Race
7. Ride The Comet
8. Web Of Lies

CD 2:
1. The Fifth Extinction
2. Waking Dreams
3. The Truth Is In Here
4. Unnatural Selection
5. River Of Time
6. E=mc2
7. The Sixth Extinction

Lineup
Voci
Forever

Nel booklet, ognuno di questi artisti è rappresentato da un simbolo.

* Tom S. Englund (Evergrey)
* Steve Lee (Gotthard
* Daniel Gildenlöw (Pain Of Salvation)
* Hansi Kürsch (Blind Guardian)
* Floor Jansen (After Forever)
* Jonas Renkse (Katatonia)
* Anneke van Giersbergen (Agua de Annique, ex The Gathering)
* Jørn Lande (Masterplan)
* Magali Luyten (Virus IV)
* Bob Catley (Magnum)

Man

* Ty Tabor - King's X
* Simone Simons - Epica
* Phideaux Xavier - Phideaux
* Arjen Lucassen
* Liselotte Hegt - Dial
* Wudstik
* Marjan Welman - Elister

Musicisti

* Arjen Lucassen - tutte le chitarre elettriche ed acustiche, bassi, mandolini, tastiere, sintetizzatori, organo Hammond e Solina
* Ed Warby - tutte le batterie e le percussioni

Tastiere aggiuntive e solisti

* Lori Linstruth - assolo di chitarra in Newborn Race
* Derek Sherinian - assolo di sintetizzatore in The Fifth Extincion
* Tomas Bodin - assolo di sintetizzatore in Waking Dreams
* Michael Romeo - assolo di chitarra in E=mc²
* Joost van der Broek - assolo di sintetizzatore e pianoforte in The Sixth Extinction

Strumenti acustici

* Ben Mathot - tutti i violini
* David Faber - tutti i violoncelli
* Jeroen Goossens - flauto, tin whistle, flauto basso