domenica 27 marzo 2011

Una piacevole scoperta: Mostly Autumn - "Heart Full Of Sky"

Titolo: Heart Full Of Sky
Autore: Mostly Autumn
Genere: Progressive Rock
Anno: 2007
Etichetta: Mostly Autumn Rercors
Voto: 7,5
Sito internet: www.mostly-autumn.com


Ho scoperto i Mostly Autumn ascoltando la voce delicata della bella Heater Findlay su “The Human Equation” di Ayreon, disco nel quale Heater interpreta la figura dell’Amore (Love).
E visto che Arjen in fatto di talenti ha occhio, ho deciso di approfondire la conoscenza di questo gruppo a me totalmente sconosciuto.
I Mostly Autumn sono una band inglese dedita a un rock a tratti progressivo e con incursioni nel folk, influenzata principalmente dai Pink Floyd, dei quali hanno anche fatto alcune cover raccolte nell’album “Pink Floyd Revisited”.
Heart Full Of Sky è il loro settimo studio album. Un disco di soft rock pervaso da diverse atmosfere: dal rock ipnotico e sognante di "Fading Colours" e "Walk With A Storm"  (in quest'ultima emerge chiaramente la vena folk) al pop rock allegro di "Pocket Watch", passando per brani introspettivi e ricercati come le bellissime "Blue Light" e "Find The Sun", quest’ultima davvero intensa, accompagnata da un malinconico violino che ne aumenta l’emozionalità.
In "Broken", un brano per sola voce e pianoforte, echeggia la migliore Kate Bush.
Nonostante la ricercatezza di suoni e atmosfere, il disco è facilmente assimilabile già dai primi ascolti, complici soprattutto delle belle melodie.
Dalle informazioni che ho potuto reperire su wikipedia e sul sito ufficiale, la band pare godere di un buon seguito in Inghilterra, restando comunque una sorta di gruppo di nicchia.
Un disco consigliato a tutti gli amanti del rock ricercato e introspettivo alla Pink Floyd.

Tracklist

1. Fading Colours
2. Half A World
3. Pocket Watch
4. Blue Light
5. Walk With A Storm
6. Find The Sun
7. Ghos
8. Broken
9. Silver Glass
10. Further From Home
11. Dreaming

Lineup

Heather Findlay (Voce, Chitarra Acustica, Percussioni)
Angela Gordon (Flauto, Tastiere, Voce)
Bryan Josh (Chitarra, Voce, Pianoforte)
Chris Johnson (Tastiere, Chitarra, Voce)
Andy Smith (Basso)
Gavin Griffiths (Batteria)
Olivia Sparnenn (Voce, Percussioni)


mercoledì 23 marzo 2011

Rhapsody Of Fire - "The Frozen Tears Of Angels"

Titolo: The Frozen Tears Of Angels
Autore: Rhapsody Of Fire
Genere: Symphonic Metal
Anno: 2010
Etichetta: Nuclear Blast
Voto: 8
Sito internet: www.rhapsodyoffire.com

La pausa forzata che ha costretto i Rhapsody Of Fire al silenzio totale (blocco dell’attività live e in studio) non ha minimamente intaccato la creatività della band triestina, che a distanza di quattro lunghi(ssimi) anni da “Triumph Or Agony” si riaffaccia sulla scena metal mondiale con “The Frozen Tears Of Angels”, un disco bellissimo che musicalmente si rifà ai primi lavori e conferma i Rhapsody signori indiscussi del loro power/symphonic/hollywood/film score metal…
Parlo di un ritorno alle origini perché in questo disco la parte sinfonico-orchestrale viene parzialmente accantonata per dare più spazio alle chitarre e al “metal” in generale.
Negli ultimi lavori infatti l’aspetto orchestrale era predominante (specialmente in “Triumph Or Agony”, che si può considerare come una vera e propria colonna sonora), e anche se i risultati erano eccellenti, a mio avviso si era perso un po’ troppo il senso dell’orientamento.
Il nuovo disco invece suona metal al 100%, le orchestrazioni vengono scavalcate da una valanga di assoli e scale velocissime (sia di chitarra che di tastiera) proprio come nei primi due album.
Viene anche ripresa quell’aggressività che caratterizzava “Power Of The Dragonflame”,  album in cui la componente metal era molto in evidenza.
Non mancano infine elementi tipici della musica dei Rhapsody come i cori epici (con strofe in latino), i passaggi strumentali medievaleggianti e l’uso della lingua italiana, ormai caratteristica fissa che si inserisce egregiamente nelle melodie complessive.
Il risultato è una serie di brani potenti, veloci e melodici, strutturalmente meno intricati che in passato ma non per questo banali o scontati.
Si parte in quarta con la veloce “Sea Of Fate” (primo singolo del quale è stato realizzato anche un video un po’ pacchiano), poi via con i cambi di tempo di “Crystal Moonlight” per arrivare alla prima perla del cd, “Reign Of Terror”, un pezzo epico tiratissimo con accelerate stile black metal in cui Fabio si lancia in uno screaming pazzesco (tra l’altro in un’intervista Fabio ha espresso preoccupazione per la sua voce circa l’esecuzione di questo brano dal vivo, molto richiesto dai fans).
Segue “Danza Di Fuoco E Ghiacchio”, una ballata “branduardiana” cantata interamente in italiano in cui fanno capolino chitarre acustiche e flauti medievali magistralmente arrangiati alla Rhapsody maniera.
Dopo questi sei minuti di riposo il disco riparte in tromba con la stupenda “Raging Starfire”, altra perla ricca di assoli di chitarra e tastiere che si susseguono a tutta velocità, dotata di un ritornello davvero bellissimo e accattivante (il break verso il finale è davvero da brividi!).
La successiva “Lost In Cold Dreams” è un lento non del tutto riuscito. A parte il ritornello melodico, il brano è piuttosto anonimo.
Ma non c’è tempo per soffermarsi su questo dettaglio perché “On The Way To Ainor” esplode con un riff tirato che spazza via ogni dubbio. Un’altra perla del cd: potente, epica, impreziosita da un lungo assolo di Turilli davvero ispirato.
In chiusura, come da tradizione, un brano lungo (di circa 11 minuti) che presenta tutte le caratteristiche del sound dei Rhapsody (riff tecnici, melodia, tastiere in evidenza, gran voce di Fabio).
Insomma, questo “The Frozen Tears Of Angel” è davvero un gran ritorno che conferma le aspettative che si erano create da lungo tempo e che sicuramente riporterà i Rhapsody in cima alle classifiche europee.

Tracklist

1) Dark Frozen World - 2:12
2) Sea of Fate - 4:49
3) Crystal Moonlight - 4:25
4) Reign of Terror - 6:52
5) Danza di fuoco e ghiaccio - 6:26
6) Raging Starfire - 4:56
7) Lost in Cold Dreams - 5:14
8) On the Way to Ainor - 6:59
9) The Frozen Tears of Angels - 11:17

Durata totale 00:59:42

Lineup

Fabio Lione - voce
Luca Turilli - chitarra
Alessandro Staropoli - tastiere
Patrice Guers - basso
Alex Holzwarth - batteria
(Christopher Lee - voce narrante)

mercoledì 16 marzo 2011

Grave Digger - "The Clans Will Rise Again"


Titolo: The Clans Will Rise Again
Autore: Grave Digger
Genere: Power Metal
Anno: 2010
Etichetta: www.napalmrecords.com
Voto: 6
Sito internet: www.grave-digger.de
Myspace: www.myspace.com/gravediggerclan 


E così alla fine anche i granitici Grave Digger hanno ceduto alla moda del disco “parte seconda”, scrivendo con il nuovo “The Clans Will Rise Again” il seguito di “Tunes Of war”, il loro album più acclamato.
Purtroppo, come per la maggior parte dei sequel usciti in questi ultimi anni, il risultato è deludente e in questo caso anche preoccupante. Perché se da un lato è vero che i Grave Digger non si sono mai distinti per originalità o tecnica compositiva, dall’altro è naturale avere certe aspettative da una band che in 30 anni di carriera, grazie a ottimi album e dirompenti esibizioni live, ha contribuito nel suo piccolo a scrivere la storia del metal.
E invece quello che i nostri propongono nel 2010 suona tanto come un tentativo ruffiano e a tratti ridicolo di bissare il successo di “Tunes Of War”. Una manciata di riff triti e ritriti (l’inserimento del nuovo chitarrista Axel Ritt non ha avuto nessun effetto), ritornelli scontati e poco trascinanti (forse in chiave live renderanno di più), il tutto infarcito da cornamusa (esagerate) e suoni di battaglia che francamente imbarazzano non poco chi già conosce il capitolo precedente.
Per tutta la durata del cd si avverte una sgradevole sensazione di dejà vu ed è davvero difficile stilare una classifica dei brani.
Dopo l’intro di rito (con cornamusa ovviamente) si parte un po’ in sordina con “Paid in Full”, brano roccioso con un ritornello mediocre dal testo veramente banale (quasi uguale a quello di Scotland United). Nella successiva “Hammer Of The Scots” ritorna lo sferragliare di spade che inevitabilmente riporta alla mente la mitica “William Wallace”, anche se un paragone è impensabile.
Segue “Highland Farewell”, non male, della quale è stato anche girato un discreto video (sotto riportato). La title track non dice più di tanto e a seguire troviamo “Rebels”, piuttosto riuscita con un bel ritornello. Seguono poi alcune pezzi veramente privi di personalità: “Valley Of Tears” (che ricorda troppo “Princess Of The Dawn” degli Accept), “Execution”, “Whom The Gods Love” (queste due davvero insignificanti) e altri quattro brani di cui si salva solo “Coming Home”, un mid tempo epico e potente da cantare a squarciagola.
Nemmeno l’ombra di un brano speed, di un bell’assolo o di un riff killer.
Dispiace dirlo, ma questo nuovo lavoro sembra un gran calderone dove i Grave Digger hanno furbescamente mescolato ciò che i fan hanno amato di più del capitolo precedente (cornamusa, spade, testi battaglieri, braveheart…).
D’altra parte, sarà proprio questa ripetitività a fare la felicità degli “aficionados” e a far vendere bene il disco!
Per tutti gli altri, meglio sorvolare.

Tracklist

1. Days Of Revenge
2. Paid In Blood
3. Hammer Of The Scots
4. Highland Farewell
5. The Clans Will Rise Again
6. Rebels
7. Valley Of Tears
8. Execution
9. Whom The Gods Love
10. Spider
11. The Piper McLeod
12. Coming Home
13. When Rain Turns To Blood

Lineup

Chris Boltendahl - Voce
Axel Ritt - chitarra
Hans Peter Katzenburg - Tastiere
Jens Becker - Basso
Stefan Arnold – Batteria

Di seguito il video di "Highland Farewell":


lunedì 14 marzo 2011

Children Of Bodom: "Relentless, Reckless Forever"

Titolo: Relentless, Reckless Forever
Autore: Children Of Bodom
Genere: Heavy Metal
Anno: 2011
Etichetta: Spinefarm Records
Voto: 6
Sito internet: www.cobhc.com


Dopo le bastonate trash di “Are You Dead Yet” e “Blooddrunk” (che avevano deluso i fan storici ma attirato anche nuovi adepti), i Children Of Bodom fanno marcia indietro e ritornano al caro power metal tecnico degli esordi che li fece esplodere nel ’99 con “Hatebreeder”, capolavoro insuperato.
Purtroppo però il nuovo “Relentless Reckless Forever” fa marcia indietro anche in fatto di qualità, risultando un disco di maniera ben prodotto e magistralmente suonato, ma aimè musicalmente poco ispirato e povero di idee.
Chi ama l’abilità tecnica di Lahio e soci non resterà deluso, la prestazione del combo infatti è impeccabile, tuttavia sono proprio i brani a mancare di originalità e a non fare presa.
A mio avviso sono molte le lacune di questo disco: innanzitutto i ritmi sono più rallentati che in passato, mancano quelle potenti sfuriate black dove chitarra ritmica e solistica si scatenavano alla follia. In secondo luogo le composizioni sono meno intricate, non direi commerciali ma comunque maggiormente fruibili e assimilabili già al secondo ascolto. Il suono inoltre nel complesso risulta più leggero e poco “malefico” (complici anche giri di tastiera poco d’atmosfera), tant’è che se non fosse Lahio a cantare, si potrebbe benissimo pensare di essere di fronte a un cd power qualunque.
Infine una nota di demerito va alla brevissima durata del cd: nemmeno 40 minuti! Non ho fatto in tempo a finire la recensione che il cd era già terminato!
Difficile fare una classifica dei brani migliori, perché partono tutti in tromba con dei riff potenti per  perdersi nel vuoto dopo il primo minuto e poi finire nell’anonimato completo, complici anche lunghi assoli poco ispirati e tastiere invadenti, in questo disco utilizzate più da contorno ai brani che per veloci assoli. Ad ogni modo i meglio riusciti sono “Not My Funeral”, la title track (che verso l’inizio ricorda “Mask Of Sanity”), e la melodica “Roundtrip To Hell And Back”.
Insomma, il 2011 ci restituisce una band tecnicamente in forma, ma un po’ a corto di idee.
Adesso godiamoceli dal vivo

Tracklist

1. Not My Funeral
2. Shovel Knockout
3. Roundtrip to Hell and Back
4. Pussyfoot Miss Suicide
5. Relentless Reckless Forever
6. Ugly
7. Cry of the Nihilist
8. Was It Worth It?
9. Northpole Throwdown

Lineup

Alexi "Wildchild" Laiho - chitarra, voce
Roope Latvala - chitarra
Jaska W. Raatikainen - batteria
Henkka "Blacksmith" Seppala - basso
Janne Wirman - tastiere

Di seguito il primo video ufficiale del nuovo cd, "Was It Worth".


venerdì 11 marzo 2011

Helloween - 7 Sinners

Titolo: 7 Sinners
Autore: Helloween
Genere: Power Metal
Anno: 2010
Etichetta: SPV/Steamhammer
Voto: 7
Sito internet: www.helloween.org


Non male il nuovo “7 Sinners”, un disco potente e aggressivo dopo l’esperimento soft di “Unarmed - Best of 25th Anniversary”, in cui gli Helloween si divertivano a stravolgere e ammorbidire i loro grandi successi.
Musicalmente il disco si rifà a “Gambling With The Devil”: suoni moderni, potenti e ruvidi (il suono della chitarra in alcuni punti si avvicina al new metal) per canzoni tirate e melodiche, anche se in molti brani aleggia un’aurea oscura che in più punti richiama alla mente “The Dark Ride”.
La lineup ormai è consolidata e affiatata, Weikath e Gerstner alternano riff e assoli di notevole spessore, il drumming di Loeble è garanzia di precisione e potenza; il songwriting in generale è ispirato.
L’opener “When The Sinners Go” è un buon mid tempo oscuro che prepara il terreno per “Are You Metal”, dal titolo pacchianissimo (stranamente in linea con “To The Metal” dei Gamma Ray…) ma dall’incedere aggressivo e melodico allo stesso tempo. All’interno del brano troviamo anche una serie di sfuriate speed sulle quali esplodono gli acuti di Deris che faranno sicuramente strage in sede live.
Si prosegue alla grande con “Who Is Mr. Madman”, “Raise The Noise” e “World Of Fantasy”, quest’ultima più melodica e rockettara (vicina ai pezzi più hard rock che solitamente portano la firma di Deris), fino ad arrivare alla tempesta di metallo di “Long Live The King”, un brano veloce e potente tra i migliori del lotto, di sicuro devastante se proposta dal vivo grazie anche al drumming furioso di Loeble.
A seguire troviamo “The Smile Of The Sun”, una canonica ballad, e “You Stupid Mankind”, dalle tinte progressive. Purtroppo da qui in avanti il disco comincia a stonare, con brani anonimi e noiosi (“If A Mountain Coudl Talk”, “The Sage, The Fool, The Sinner”)
Lo sorti dell’album si risollevano con “My Sacrifice” e l’oscura “Far In The Future”, che chiude un disco traballante sul finire, ma buono nel complesso.
“7 Sinners” è un ottimo biglietto da visita per gli Helloween, che così arrivano all’ottavo buon disco dell’”era Deris”.

Tracklist

1) Where the Sinners Go - 3:35
2) Are You Metal? - 3:37
3) Who Is Mr. Madman? - 5:42
4) Raise the Noise - 5:06
5) World of Fantasy - 5:14
6) Long Live the King - 4:12
7) The Smile of the Sun - 4:36
8) You Stupid Mankind - 4:04
9) If a Mountain Could Talk - 6:44
10) The Sage, the Fool, the Sinner - 3:59
11) The Sacrifice - 4:59
12) Not Yet Today - 1:11
13) Far in the Future - 7:45

Durata totale 00:58:04

Lineup

Andi Deris - (voce)
Michael Weikath - chitarra
Markus Großkopf - basso
Sascha Gerstner - chitarra
Daniel Loeble - batteria

Di seguito il video del primo singolo estratto, "Are You Metal?"

martedì 8 marzo 2011

Star One - Victims Of The Modern Age


Titolo: Victims Of The Modern Age
Autore: Star One
Genere: Progressive Metal
Anno: 2010
Etichetta: InsideOut Music
Voto: 7
Sito internet: www.arjenlucassen.com
My Space: www.myspace.com/ayreonauts



Star One è uno dei tanti progetti messi in piedi da Arjen Anthony Lucassen nel corso della sua lunga carriera, e “Vitcims Of The Modern Age” è il secondo lavoro uscito sotto questo monicker, a otto anni di distanza dal fortunato “Space Metal”. La formula proposta è sempre la stessa, un progressive metal di alta qualità dalle atmosfere spaziali che ha come principale fonte di ispirazione i film preferiti di Arjen.
Tutte le canzoni del capitolo precedente infatti traevano spunto da film di fantascienza ambientati nello spazio (Alien, Stargate, ecc.), mentre questa volta l’ispirazione nasce da film di guerra (ad es. Platoon) e da alcuni a sfondo apocalittico/catastrofico.
Venendo all’aspetto musicale, come d’abitudine siamo al cospetto di una formazione composta da ospiti illustri del calibro di Russel Allen, Damian Wilson, Floor Jansen, Gary Wehrkamp, Tony Martin (tanto per citarne alcuni), e il risultato non tradisce assolutamente le aspettative.
Fin dalle prime note si rimane colpiti dalla qualità della produzione: suoni cristallini e incisivi a partire da chitarre moderne che delineano riff potenti, oscuri, di facile presa ma mai banali o scontati; un uso massiccio di tastiere e sintetizzatori che per tutto il disco la fanno da padrone come non mai: l’immancabile hammond si amalgama alla perfezione con morbidi tappeti musicali e violenti assolo dal timbro futuristico (come in “Human See, Human Do”). Nulla da eccepire inoltre per quanto riguarda la sezione ritmica grazie al fido Ed Warby, batterista praticamente fisso, vista la sua partecipazione a tutti i progetti di Arjen.
Dopo l’intro “Down The Rabbit Hole” (sulla falsa riga di “Lift-Off”) si parte alla grande con “Digital Rain”, una delle tracce migliori dove Allen da subito il meglio di se. Seguono “Earth That Was” e “Victimis Of The Modern Age”, quest’ultima più oscura, in cui fa capolino anche il growl di Dan Swano. E via via il disco scorre liscio senza scivoloni grazie a ottimi brani come il già citato “Human See, Human Do”, “Cassandra Complex” e “It’s Alive, She’s Alive, He’s Alive”.
Qualche critica però va fatta: innanzitutto l’eccessiva atmosfera cupa del cd a lungo andare risulta pesante, laddove "Space Metal" offriva ritornelli più melodici e arrangiamenti più progressivi e variegati. In secondo luogo, mancano dei begli assoli. Le chitarre infatti tracciano ottimi riff ma le parti soliste sono piuttosto semplici e passano inosservate. Infine, un paio di pezzi non sono proprio all’altezza della situazione ("25 Hours" e "It All Ends Here"). A parte questo, l’album si mantiene su alti livelli, ed è consigliato veramente a tutti.
Il disco è disponibile anche in versione limitata contenente un secondo cd con 5 bonus tracks e una traccia video con il make of del disco.

La recensione è stata realizzata per il portale www.entrateparallele.it. Ringrazio i responsabili del sito per il permesso di utilizzare questo testo sul mio blog.

Tracklist:

1] Down the Rabbit Hole (01:20)
2] Digital Rain (06:23)
3] Earth that Was (06:08)
4] Victim of the Modern Age (06:27)
5] Human See, Human Do (05:14)
6] 24 Hours (07:20)
7] Cassandra Complex (05:24)
8] It's Alive, She's Alive, We're Alive (05:07)
9] It All Ends Here (09:46)

Cantanti

Russell Allen (Symphony X)
Damian Wilson (Headspace, Threshold)
Floor Jansen (ex-After Forever, ReVamp)
Dan Swanö (Nightingale, Second Sky, ex-Edge of Sanity)
Tony Martin (Ex-Black Sabbath)
Mike Andersson (Cloudscape, Full Force, Silent Memorial)
Rodney Blaze

Musicisti

Arjen Lucassen - Guitars, keyboards
Ed Warby - Drums (Ayreon, Hail of Bullets, Gorefest)
Peter Vink - bass
Joost van den Broek - keyboard solos (Ex-After Forever)
Gary Wehrkamp - guitar solos (Shadow Gallery)

Cliccando su www.arjenlucassen.com si può accedere alla home page di Arjen, dalla quale è poi possibile accedere ai siti dei singoli progetti.

domenica 6 marzo 2011

Labyrinth - “Return To Heaven Denied pt. 2 (A Midnight Autumn’s Dream)”

Titolo: Return To Heaven Denied pt.2 (A Midnight Autumn's Dream)
Autore: Labyrinth
Genere: Prog/Power
Anno: 2010
Etichetta: Scarlet Records
Voto: 7,5
Sito internet: www.labyrinthband.com


Quella del disco “parte seconda” è una delle strategie di marketing più ruffiane nell’ambiente musicale degli ultimi anni. Ma come si dice…l’abito non fa il monaco, e molte aspettative sono state deluse nel corso del tempo, basti pensare a famosi sequel come “Land Of The Free pt. 2” dei Gamma Ray, “The Clans Are Marching Again” dei Grave Digger o agli Helloween (che addirittura hanno tentato di scrivere la terza parte di una delle pietre miliari della storia del power metal) non riuscendo nell'intento o addirittura fallendo miseramente.
Fortunatamente però c’è anche tutta una serie di uscite che se da un lato non sono artisticamente/commercialmente comparabili al primo capitolo, dall’altro risultano essere degli ottimi dischi.
Il nuovo album dei Labyrinht, intitolato “Return To Heaven Denied pt. 2 (A Midnight Autumn’s Dream)” rientra per fortuna nell’elenco dei progetti riusciti.
La ricorrenza in questo caso è ancora più sentita, in quanto il nuovo disco vede il ritorno di Olaf Thorsen (il fondatore del gruppo) alla chitarra. E la sterzata è di quelle incisive! Se infatti negli ultimi anni il sound dei Labyrinth si era avvicinato sempre più a un rock progressivo colto ed elegante, con Olaf al comando si ritorna a quel power/prog degli esordi (una miscela di potenza, tecnica e melodia raffinati) che fece esplodere il gruppo a livello internazionale e che in qualche modo diede la spinta propulsiva all’emersione di una scena metal italiana ancora troppo confinata nell’underground “da cantina”.
Il richiamo al primo capitolo è palese fin dalle prime note di “The Shooting Star” (l’intro di tastiera è quello di “Moonlight”), un pezzo power intervallato da emozionanti stacchi strumentali. E qui aprirei subito una parentesi su un aspetto a mio avviso contraddittorio dell’album, ovvero la presenza di troppi stacchi e rallentamenti (comunque belli e coinvolgenti) all’interno di song potenti e veloci. Nonostante questi momenti mettano in evidenza le eccezionali doti tecniche e il gusto di Olaf e Rain, alcuni pezzi veloci perdono inevitabilmente la loro carica. Si crea una certa discontinuità che spiazza l’ascoltatore: laddove ci si aspetta che la canzone cresca fino ad esplodere, arriva il break che smorza l’entusiasmo (è il caso della citata “The Shooting Star” o anche di “Princess Of The Night”).
A parte questo piccolo pelo nell’uovo, il disco scivola via senza particolari intoppi. I suoni sono potenti e nitidi (particolarmente curata è la parte solistica), la produzione ottima, la prestazione di tutti i membri è degna di lode: questo disco è decisamente il degno successore di “Return To Heaven Denied”.
Tra gli episodi migliori cito “Like Shadows In The Dark”, “Sailors Of Time”, “To Where We Belong” (uno dei mie brani preferiti, anche se il break in cui Olaf si lancia nei suoi assoli al fulmicotone ricorda un po’ quello di “Lady Lost In Time”), fino ad arrivare a “A Midnight Autumn’s Dream”, a mio avviso il pezzo più bello e intenso dell’album, nonché uno dei migliori brani dei Labyrinth. Una semi-ballad in cui arpeggi di chitarra classica ed elettrica e bellissimi assoli si amalgamo perfettamente all’interpretazione vocale di un bravissimo Rob Tyrant, per un brano emozionante e di grande atmosfera.
A chiudere il disco un trittico di brani sopra la media: “The Mornings Call”, l’ipnotica “In This Void” e “Painting On The Wall”, un altro dei miei brani preferiti che si conclude con la ripresa del finale di “Falling Rain”.
In definitiva un gran bel disco (penalizzato forse per un paio di brani che non convincono al 100% e per la sensazione di dejavu che qua e la si avverte) che farà felice i fan di vecchia data e tutti gli amanti del power/prog tecnico ed emozionante allo stesso tempo.
Bravi Labyrinth, e soprattutto bentornati!

Tracklist

1. The Shooting Star - 08:11
2. A Chance - 05:52
3. Like Shadows in the Dark - 05:35
4. Princess of the Night - 05:51
5. Sailors of Time - 04:30
6. To Where We Belong - 04:49
7. A Midnight Autumn's Dream - 06:54
8. The Morning's Call - 06:38
9. In This Void - 04:38
10. A Painting on the Wall - 05:19

Lineup

Roberto Tiranti - Voce, Basso
Andrea Cantarelli - Chitarra
Olaf Thorsen - Chitarra
Andrea de Paoli - Tastiera
Alessandro Bissa - Batteria

venerdì 4 marzo 2011

Battleroar: reinterpretare il passato a suon di musica

Titolo: To Death And Beyond...
Autore: Battleroar
Genere: Epic Metal
Anno: 2008
Etichetta: Cruz Del Sur Music
Voto: 7,5
Sito internet: www.battleroar.com (attualmente non aggiornato)
MySpace: http://www.myspace.com/battleroar1


Oltre che da poche ma belle letture, l’estate 2008 è stata accompagnata dall’ascolto (come sempre del resto) di buona musica. Così, dopo avere in parte scoperto e in parte rispolverato l’intera discografia dei Manowar, mi sono ritrovato per le mani questo piccolo gioellino intitolato “To Death and Beyond…” dei greci Battleroar, che mi ha davvero sorpreso. Era molto tempo infatti che non ascoltavo musica così carica, esaltante e trascinante.
I Battleroar sono l’esempio lampante di come sia possibile reinterpretare il passato: sfruttare la tradizione per creare qualcosa di nuovo senza per forza cadere nella ripetizione, nel già sentito e, come troppo spesso accade, nella citazione palese.
L’influenza dei “maestri” è evidente, Manowar e Iron Maiden la fanno da padrone a più riprese, ma ciò è inevitabile quando si “maneggia” un genere orami saturo come l’heavy metal.
Ma i Battleroar ce la mettono davvero tutta, e grazie a un songwriting ispirato danno vita davvero a della bella musica.
A mio parere l’arma vincente del cd è il “tiro”, l’irruenza e la carica delle canzoni che assalgono l’ascoltatore e lo invitano a immedesimarsi nel testi guerreschi e battaglieri (ben fatti e per niente banali), nonché a premere – pericolosamente – sull’acceleratore…
In un periodo in cui la maggior parte delle band (inflazionate e non) puntano tutto sulla produzione ultra perfetta e sul ritornello facile (a discapito appunto della “carica”), i Battleroar assalgono e colpiscono come da tanto non sentivo.
Si parte alla grande con l’ottima “The Wrathforge”, poi “Dragonhelm” (dal break centrale davvero tirato), per arrivare alla prima perla del cd: “Finis Mundi”. Un brano di oltre minuti, potente e oscuro, dove i Battleroar si dimostrano in grado di creare atmosfere.
I due ottimi brani successivi (“Metal Hellas” e “Hyrkanian Blades”) conducono alla seconda perla del cd: “Oceans of Pain”, un brano carico di atmosfere malinconiche (soprattutto nel break centrale, costruito utilizzando violino sintetizzato) potente e suggestivo, della durata di oltre 10 minuti, dove i Battleroar sfoggiano una buona tecnica e personalità.
Con “Born in the ’70” si fa un tuffo nel migliore hard rock degli anni ’80, mentre nella prorompente “Warlord of Mars” la vena “maideniana” emerge notevolmente (impossibile non pensare a “The Trooper”).
Chiude il capitolo “Death Before Disgrace” (la mia preferita), dall’incedere eroico e battagliero, un’altra lunga canzone dove tecnica, potenza e suggestione la fanno da padrone. Molto bella la parte finale, un vero e proprio inno di battaglia che non potrà non farvi immedesimare nella lotta dei nostri eroi…e di nuovo a spingere sull’acceleratore!
Pur essendo il cd di ottimo livello, non si può ancora parlare di capolavoro: innanzitutto la qualità della produzione è piuttosto scarsa: a volte il suono della chitarra è impastato e la batteria spesso viene soopraffatta dagli altri strumenti. Il secondo punto debole è rappresentato dalla voce del cantante.
L’italiano Marco Concoreggi ce la mette tutta in fatto di grinta, potenza ed espressività, purtroppo però è proprio il timbro della voce a non essere bello, tant'è che in certi passaggi un pò più teatrali risulta pacchiana.
Particolari però sorvolabili se ci si concentra sulla qualità della musica, che oltre al sopra citato “tiro” offre “giri” originali, ottimi arrangiamenti e finalmente dei begli assoli di chitarra: melodici, ben studiati, e di conseguenza ben amalgamati nelle canzoni.
Insomma, una piacevole scoperta e credo anche una buona garanzia per il futuro!

Tracklist

1. The Wrathforge
2. Dragonhelm
3. Finis Mundi
4. Metal From Hellas
5. Hyrkanian Blades
6. Oceans Of Pain  audio
7. Born In The 70's
8. Warlord Of Mars
9. Death Before Disgrace

Durata totale 00:59:06

Lineup

Marco Congoreggi - voce
Kostas Tzortzis - chitarra
Stelios Sovolos - chitarra
Gus Makrikostas - basso
Nick Papadopoulos - batteria

mercoledì 2 marzo 2011

Stratovarius - "Elysium"

Titolo: Elysium
Autore: Stratovarius
Genere: Power Metal
Anno: 2011
Etichetta: Edel Music
Voto: 7,5
Sito internet: www.stratovarius.com


““Polaris” was the album that saved the band. Without it there would not be any Stratovarius. With “Elysium” we are showing the people that Stratovarius are back at the top of power metal”.
Con queste parole di Timi Kotipelto (presenti su una delle 4 promotional cards contenute nell’edizione deluxe di “Elysium”) si potrebbe già concludere la recensione. Non ci sono parole migliori infatti per descrivere in poco tempo la storia recente degli Stratovarius.
Dopo le ultime deludenti uscite, i litigi tra i membri della band, le vicissitudini legali e personali spiattellate su tutte le riviste del settore sotto forma di telenovela e l’abbandono definitivo di Timo Tolkki, gli Stratovarius avevano solo due possibilità: sciogliersi, oppure tentare il tutto per tutto con una nuova formazione. E così, reclutato il giovane e talentuoso Matias Kupiainen, i finnici si sono rimboccati le maniche e sono letteralmente ripartiti da zero con “Polaris”, un disco non eccezionale, ma di certo superiore ai vari “Stratovarius” o “Elements pt. 1/2”. Un disco insomma, citando Timo, che ha salvato la band, l’ha rimessa in carreggiata e le ha permesso di poter gridare al mondo intero “Hey, siamo ancora qua”. E il mondo l’ha ascoltata e aspettata, non avendola mai dimenticata.
Anche la seconda parte della citazione di Kotipelto è vera: con il nuovo “Elysium” gli Stratovarius sono finalmente ritornati al centro della scena metal internazionale.
Il nuovo disco suona Stratovarius al 100% e allo stesso tempo è permeato da una freschezza che mancava da troppo tempo.
A mio avviso Matias non fa per niente rimpiangere Tolkki. Per carità un grande chitarrista, ma dallo stile statico e troppo legato a Malmsteen e al neoclassicismo in generale. Le ultime composizioni erano infarcite di scale davvero pesanti da digerire. Matias invece ha un approccio più dinamico allo strumento e di conseguenza è più svincolato da certi canoni.
I die hard fans possono stare tranquilli, il disco presenta comunque i famosi assoli veloci e le scale neoclassiche (chitarra e tastiera si danno battaglia come al solito), ma dosate con più parsimonia e alternate a parti più improvvisate.
La produzione come sempre è ottima, la prestazione di tutti i membri è eccellente e una menzione particolare va fatta proprio per Kotipelto, autore di una prova egregia nonostante le tonalità siano per tutto il cd medio-alte. Ed è proprio questo l’aspetto più interessante della voce di Timo nel 2011: cantare bene senza dover per forza irrompere con acuti spacca orecchie solo perché nel power va di moda fare gli acuti. Ed anche nelle tonalità basse la voce è molto migliorata: la si sente in pieno, non si riduce a un  vocalizzo sforzato.
Per quanto riguarda le canzoni, sono tutte di ottima fattura e ce n’è per tutti i gusti: dal classico brano catchy apripista (“Darkest Hour”) ai canonici brani power metal come “Under Flaming Skies” e “Infernal Maze”
C’è da dire che i brani migliori sono quelli più cadenzati, come “Fairness Justified” e la cupa “Lifetime In A Moment” (che viaggia sulla scia di pezzi come “The Abyss Of Your Eyes”). C’è spazio per una ballad molto bella e intensa (“Move The Mountain”) e dopo un’altra classica power song (“Event Horizon”) si finisce con “Elysium”, un brano stupendo della durata di 18 minuti, che racchiude l’essenza dei nuovi Stratovarius: classe, eleganza, potenza, atmosfera, emozionalità. 
Bel lavoro, bentornati.

Tracklist

01 Darkest Hours
02 Under Flaming Skies
03 Infernal Maze
04 Fairness Justified
05 The Game Never Ends
06 Lifetime in a Moment
07 Move the Mountain
08 Event Horizon
09 Elysium

Lineup

Timo Kotipelto - Voce
Jens Johansson - Tastiera
Jörg Michael - Batteria
Lauri Porra - Basso
Matias Kupiainen - Chitarra

Il cd è disponibile anche in versione digipack "deluxe" contenente 4 promotional cards e un secondo cd con le versioni demo di tutti i brani.

martedì 1 marzo 2011

Disco solista per Ralf Scheepers


Titolo: Scheepers
Autore: Ralf Scheepers
Genere: Heavy Metal
Anno: 2011
Voto: 6,5
Sito internet: MySpace
















Dopo anni di gavetta ed una carriera di tutto rispetto, è arrivato anche per Ralf Scheepers il momento del disco solista. C’erano diverse aspettative su questo progetto, specialmente per le dichiarazioni dello stesso Ralf, che in più occasioni aveva espresso il desiderio di pubblicare qualcosa di più personale e diverso dal solito, e per la presenza di ospiti importanti come Kai Hansen (Gamma Ray), Victor Smolski (Rage), Tim Owens (ex Iced Earth ed ex Judas Priest), Snowy Shaw (King Diamond, Dimmu Borgir, Therion) e i fidi Magnus Karlsson e Mat Sinner, già compagni d’avventura nei Primal Fear. Da segnalare tra i musicisti anche lo stesso Scheepers (chitarra acustica, tastiere, effetti).
Dispiace un po’ constatare che, musicalmente parlando, queste aspettative vengano deluse. Non siamo infatti molto lontani dal classico power metal teutonico influenzato dai Judas Priest, tuttavia ci sono alcuni episodi in cui emerge una vena hard rock molto cara a Ralf già dai tempi dei primi Gamma Ray (forse qualcuno ricorderà “Free Time” in "Heading For Tomorrow", da lui interamente firmata).
La mancanza di originalità non deve comunque scoraggiare: il disco infatti non è per niente male. Si parte in pieno stile Primal Fear con “Locked in The Dungeon”, che esplode subito con un riff “spacca-tutto” (un po’ scontato, alla “Painkiller” tanto per intenderci) ma che comunque svolge benissimo il compito di far scatenare l’headbanging. Il refrain accattivante e melodico crea i giusti presupposti per un brano tutto sommato di buona fattura. Si prosegue senza tregua con “Remission Of Sin”, un pezzo hard rock per il quale vale il discorso del brano precedente: un po’ scontato in certi punti, ma comunque di impatto e dotato di un bel “tiro”. “Cyberkreak” è un altro ottimo brano, dalle tinte più fosche, e a seguire troviamo “The Fall” e “Doomsday”, due tra i pezzi migliori, dove vengono impiegati suoni di chitarra leggermente più moderni e in linea con le recenti produzioni in ambito power metal. Seguono l’anthemica “Saints Of Rock”, dal ritornello un po’ banale ma di certo efficace dal vivo, e “Before The Dawn”, cover dei Judas Priest egregiamente riarrangiata e interamente suonata da Ralf (a parte l’assolo, ad opera di Victor Smolski).
I pezzi seguenti sono tra i meno riusciti del lotto: “Back On The Track”, che suona tremendamente anni ’80, e “Dynasty”, piuttosto anonima.
A questo punto vale la pena aprire una piccola parentesi critica sui suoni dell’album, l’aspetto che più ne penalizza la riuscita. A parte un paio di episodi in cui si sentono chitarre più fresche e moderne, il resto pare uscito da vecchissimi dischi metal di fine anni Settanta. La volontà di un artista di non cedere alle mode o di non stravolgere il proprio suono è degna di lode, tuttavia nel 2011 un suono piatto e stantio come in “Back On The Track” è davvero improponibile! Credo che in questo senso si potesse fare molto di più, ne avrebbe giovato anche il songwriting.
Continuando con l’analisi dei brani troviamo verso la fine la ballad “The Pain Of The Accused”, molto bella; mentre in chiusura troviamo l'ottantiana "Play With Fire" e "Compassion", un’altra interessante ballad acustica.
Menzione particolare, infine, per la prestazione vocale di Ralf, sulla quale, come sempre, non c’è nulla da eccepire. In definitiva un disco discreto, che non aggiunge molto a quanto fatto da Ralf in passato, ma comunque in grado di incendiare gli animi dei fedelissimi amanti di certe sonorità.

Tracklist

1. Locked In The Dungeon
2. Remission Of Sin
3. Cyberfreak
4. The Fall
5. Doomsday
6. Saints Of The Rock
7. Before The Dawn
8. Back On The Track
9. Dynasty
10. The Pain Of The Accused
11. Play With The Fire
12. Compassion

Lineup
Ralf Scheepers: Lead & Backing Vocals; Acoustic Guitar; Keyboards; FX Sounds
Tim “Ripper” Owens: Lead Vocals on “Remission of Sin”
Magnus Karlsson: Lead Guitars; Guitars; Banjo; Accordion; Keyboards
Sander Gommans: Lead Guitar, Guitars
Mike Chlasciak, Alex Beyrodt; Kai Hansen; Victor Smolski: Lead Guitars
Mat Sinner: Bass, Keyboards
Snowy Shaw: Drums