sabato 25 agosto 2012

Grave Digger - "Home At Last"



Titolo: "Home At Last"
Autore: Grave Digger
Genere: Power Metal
Anno: 2012
Etichetta: Napalm Records
Voto: 6,5
Sito internet: www.grave-digger-clan.com



Nonostante le uscite poco ispirate degli ultimi anni e alcune mosse commerciali che non fanno presagire bene per il futuro (nel momento in cui scrivo dovrebbe essere già in commercio il primo doccia/shampoo della band...), i Grave Digger rimangono uno dei miei gruppi preferiti di sempre, pertanto provo sempre un po’ di emozione alla notizia di un nuovo album. Il full lenght “Clash Of The Gods” sarà nei negozi a partire dal 24 agosto, mentre dal 27 luglio è disponibile un mini cd “aperitivo” che, sorpresa sorpresona, non è per niente male. Nessun miracolo, sia chiaro, queste tre nuove tracce suonano Grave Digger al 100% ricordando come sempre qualcosa del passato, ma lasciandosi ascoltare con piacere allo stesso tempo.
Il cd si compone di tre mid tempo melodici, potenti e rocciosi, che lasciano un po’ spiazzati sulla direzione stilistica generale del prossimo album (niente pezzi veloci? Oppure questi saranno la ciliegina sulla torta?). Poco importa, quello che conta è la qualità della musica.
Il disco si apre con “Home At Last”, che colpisce per il ritornello epico e maestoso come non si sentiva dai tempi di “Rheingold”. Segue “Rage Of The Savage Beast”, il classico mid tempo schiacciasassi, che pur strizzando molto l’occhio alla storica “The Grave Dancer” convince per potenza e istigazione all’headbanging, grazie anche al coro centrale che già vedo cantare a squarciagola dal pubblico in sede live. Si chiude con “Metal Will Never Die”, la più debole delle tre, un tributo all’heavy metal che ultimamente sembra essere di tendenza tra i gruppi teutonici. Tutto sommato comunque un brano godibile.
A supporto del nuovo materiale troviamo tre cavalli di battaglia registrati al Wacken 2010: “Ballad Of A Hangman”, “Excalibur” e una terremotante versione di “Heavy Metal Breakdown”. Come sempre, i Grave Digger danno il meglio di loro dal vivo. In conclusione direi che è difficile fare un pronostico sul nuovo album in base a soli tre pezzi (tra l’altro piuttosto simili tra loro). Però alla fine del cd la voglia di premere il tasto "ripeti" e alzare il volume c’è, testa e piedi si muovono a ritmo della batteria… Non resta quindi che incrociare le dita e aspettare. Manca davvero poco.

Tracklist:

1. Home At Last
2. Rage Of The Savage Beast
3. Metal Will Never Die
4. Ballad Of AHangman (Live)
5. Excalibur (Live)
6. Heavy Metal Breakdown (Live)

Line up:

Chris Boltendahl - Vocals
Axel Ritt - Guitars
Stefan Arnold - Drums
Jens Becker - Bass
Hans Peter Katzenburg - Keyboards

venerdì 13 aprile 2012

Unisonic - "Unisonic"

Titolo: "Unisonic"
Autore: Unisonic
Genere: Hard Rock/AOR
Anno: 2012
Etichetta: Ear Music
Voto: 7
Sito internet: www.unisonic.de


E finalmente ecco il tanto atteso debutto degli Unisonic, l’acclamato progetto che riunisce musicalmente e fisicamente Kai Hansen e Michael Kiske.
Il disco era stato anticipato dal mini “Ignition”, che a dire il vero non lasciava sperare tanto bene per il futuro, e infatti il full lenght conferma in parte le prime tiepide sensazioni.
Prima di addentrarsi nell’analisi musicale è doveroso (e scontato) fare presente che, come sempre, il disco vale l’acquisto se non altro per ascoltare la bellissima voce di Kiske: pulita, cristallina, squillante ed energica, insomma: intramontabile.
E sicuramente tutti avranno notato come Kiske nel corso degli anni abbia perfezionato la tecnica di canto, allontanandosi dall’acuto sparato tipico del power metal (periodo Helloween) a favore di un approccio più ragionato da vero cantante (ah…quel vibrato…).
Musicalmente il disco propone un hard rock/AOR melodico perfettamente in linea con le ultime uscite di Kiske (“Streets Of Fire” dei Place Vendome soprattutto), condito con spruzzate di power sui cui ogni tanto si stagliano ritornelli in stile Helloween/Gamma Ray.
I brani di per sé non sono male, il problema è che molti di essi mancano di mordente, mentre in altri la sensazione di deja vu è molto forte.
La title track ad esempio, con il suo attacco priestiano, è stata intenzionalmente piazzata in pole position  tanto per chiarire che sempre di metal si sta parlando, tuttavia il riff è uno di quelli strasentiti e il brano si salva grazie al ritornello trascinante.
In “Never Too Late” invece riecheggiano le note di “Time To Break Free” dei Gamma Ray (cantata da Kiske tra l’altro) mentre il break è molto simile a quello di “Future World”.
La prima metà del disco risulta quindi un po’ sottotono, a parte “I’ve Tried”, in cui le chitarre optano per soluzioni più serie e ricercate quasi alla U2.
La seconda parte invece risolleva le sorti del disco, con brani più accattivanti come “Renegade”, “My Sanctuary” e “King For A Day” (questi tre sono i pezzi più belli dell'album). Chiude “No One Ever Sees Me”, una ballad sui generis.
Da segnalare i testi, introspettivi e molto interessanti, che sembrano raccontare scorci di vita passata di Kiske.
Concludendo si può dire che il disco nel complesso non è male, si sente che è suonato da musicisti con esperienza (Hansen e Zafiriou sanno il fatto loro anche quando si tratta di uscire dai canoni del metal più classico) e scorre nel lettore con vero piacere. L'impressione però è che si poteva fare di più, proprio per il peso dei nomi che compongono questo progetto. Il fatto è che le aspettative erano alte, e fondamentalmente ci si aspettava un discone. Invece siamo di fronte a un buon disco di hard rock che oltre a non fare il botto (forse l'avrebbe fatto se la band fosse stata emergente) e rimarrà impresso solo nei cuori degli affezionati del duo Hansen/Kiske.
Ma in fondo bisogna accontentarsi. Li avete voluti insieme? Eccoli, gustateveli e zitti!

Tracklist:

1. Unisonic
2. Souls Alive
3. Never Too Late
4. I've Tried
5. Star Rider
6. Never Change Me
7. Over The Rainbow (bonus track edizione europea)
8. Renegade
9. My Sanctuary
10. King For A Day
11. We Rise
12. No One Ever Sees Me

Line up:

Michael Kiske: vocals
Kai Hansen: guitars
Kosta Zafiriou: drums
Dennis Ward: bass
Mandy Meyer: guitars 

sabato 24 marzo 2012

Gamma Ray - "To The Metal"

Titolo: "To The Metal"
Autore: Gamma Ray
Genere: Power Metal
Anno: 2010
Etichetta: Ear Music
Voto: 6,5
Sito internet: www.gammaray.org




Mi dispiace dover dare voti bassi ai miei gruppi preferiti, ma il calo creativo che ha colpito i Gamma Ray da qualche anno a questa parte è davvero preoccupante.
Dopo il discreto “Majestic” del 2005, i Gamma Ray cedono alla moda dell’”album parte seconda” pubblicando “Land Of The Free pt. 2”, seguito del loro album più acclamato. Il disco a mio avviso è un mezzo flop, dove la carenza di idee e richiami palesi (diciamo pure scopiazzamenti) al primo capitolo si fondono in un mix dai risvolti spesso ridicoli.
Dal punto di vista commerciale però, l’operazione è di quelle valide. Circa due anni prima infatti gli Helloween avevano pubblicato la terza parte di "Keeper Of The Seven Keys", così che venne organizzato un tour insieme che riscosse un grande successo.
L’ultimo “To The Metal” si inserisce nella lista degli album più commerciali dei Gamma Ray, che avendo ormai consolidato il marchio, puntano più sull’immagine che sulla qualità della musica. Tanto per essere franchi: i Gamma Ray fanno musica per ragazzini. Già il titolo è imbarazzante (non bastano i Manowar a glorificare l’heavy metal…?), per non parlare della copertina….
Fatta questa premessa, potrà sembrare contradditorio dire che il disco nel complesso non è poi male. Il discorso è sempre lo stesso: i brani si ascoltano con piacere, ma da un gruppo che ha scritto capolavori come “Heading For Tomorrow”, “Insanity And Genius” e “Land Of The Free”, ci si aspetta molto di più.
I dischi appena citati spiccavano per una freschezza compositiva che eleva il power metal ad un livello superiore, slegandolo dai soliti cliché. In “To The Metal” invece c’è solo la ripetizione di una lezione imparata a memoria (“Rise”, “Deadlands”, “No Need To Cry”, “To The Metal”, “Time To Live”).
Tra i brani più riusciti troviamo “All You Need To Know” (tirata e potente), in cui Hansen duetta con l’amico Kiske; “Shine Forever”, dall’intrigante ritornello happy metal accostato a un riff di chitarra e tastiera che ricorda vagamente certe tirate oscure dei Children Of Bodom, e la conclusiva “Chasing Shadows”.
Che dire: il metallaro appena nato si distruggerà le orecchie a furia di ascoltare questo disco, ma il metallaro “veterano”, più attento ed esigente (nonché aficionado del raggio gamma), dopo tre/quattro ascolti lo riporrà nello scaffale e li per sempre rimarrà.
Peccato.

Tracklist:

1. Empathy (Hansen) - 05:04
2. All You Need to Know (feat. Michael Kiske) (Hansen) - 04:00
3. Time to Live (Richter) - 04:48
4. To The Metal (Hansen) - 05:29
5. Rise (Zimmermann) - 05:05
6. Mother Angel (Hansen) - 05:20
7. Shine Forever (Schlächter) - 03:53
8. Deadlands (Hansen) - 04:23
9. Chasing Shadows (Richter) - 04:23
10. No Need to Cry (Schlächter) - 05:56

Line up:

Kai Hansen - Voce, Chitarra
Henjo Richter - Chitarra, Tastiere
Dirk Schlächter - Basso
Dan Zimmermann - Batteria

domenica 18 marzo 2012

Rage - "21"

Titolo: "21"
Autore: Rage
Genere: Power Metal
Anno: 2012
Etichetta: Nuclear Blast
Voto: 7,5
Sito internet: www.rage-on.de/




“The House Wins”.
Se dovessi scommettere su ogni uscita dei Rage, diventerei milionario in poco tempo.
Non so davvero come facciano ad uscire ogni due anni con dischi di qualità nettamente superiore alla media di tutte le uscite in ambito power metal.
Ci avevano lasciati nel 2010 con il bellissimo “Strings To A Web” ed ora ritornano più trionfanti che mai con “21”, disco che celebra il ventunesimo album della carriera e che si inserisce prepotentemente nella lista dei loro capolavori.
Accantonata (temporaneamente) la collaborazione con l’orchestra Lingua Mortis, i Rage riscoprono il lato più duro della loro musica sfornando un disco potente e diretto come in passato.
Resto dell’idea che la fetta più grossa della torta spetti a Victor Smolski, per essere riuscito a portare la musica dei Rage su un altro livello, rendendola più “ragionata” e progressiva (complici assolo mai banali e mai messi li tanto per riempire il brano; suoni più maturi e ricercati e soprattutto architetture musicali più complesse, slegate dal tradizionale concetto di canzone basato sul trittico strofa/ritornello/assolo) senza comunque dimenticare la furia delle origini.
Ritroviamo quindi anche in “21” i riff possenti e malefici che hanno fatto la fortuna di Peavy, a partire dalla title track, passando per la bellissima e potente “Forever Dead” fino all’inquietante “Serial Killer”, dove Peavy si cimenta nel growl (in tutto il cd comunque le vocals sono più ruvide aggressive rispetto alle ultime uscite).
“Feel My Pain” è un altro bellissimo brano che inizia in modo malinconico per poi esplodere dopo quaranta secondi in un mid tempo tirato dal grande appeal rock’n’roll.
Dall’inizio alla fine i Rage non sbagliano un colpo: “Psycho Terror”, “Destiny”, “Death Romantic”, “Black And White”. Gli ultimi due brani non sono forse riusciti al 100% (anche se nella ballad “Eternally” si può ascoltare un bell’assolo di Smolski), ma da soli non bastano a rovesciare le sorti di un disco davvero strepitoso.
Da segnalare anche i testi molto interessanti, frutto, credo, di esperienze personali vissute da Peavy negli ultimi anni.
Bravi Rage, grandissimi davvero.

Tracklist:

1. House Wins (intro)
2. Twenty One
3. Forever Dead
4. Feel My Pain
5. Serial Killer
6. Psycho Terror
7. Destiny
8. Death Romantic
9. Black And White
10. Concrete Wall
11. Eternally

Line up:

"Peavy" Wagner - vocals, bass
Victor Smolski - guitars
André Hilgers - drums

lunedì 12 marzo 2012

Ayreon - "The Final Experiment"

Titolo: "The Final Experiment"
Autore: Ayreon
Genere: Progressive Metal
Anno: 1995/2005
Etichetta: InsideOutMusic
Voto: 10
Sito internet: www.arjenlucassen.com



Ayreon è il mio gruppo preferito in assoluto. Non c’è storia che tenga: se voglio ascoltare qualcosa di diverso, qualcosa di emozionante, della buona musica fatta come dio comanda, allora mi ascolto un  disco degli Ayreon.
Di tutti i progetti creati dal grande compositore Arjen Anthony Lucassen, Ayreon è in assoluto il migliore, sia dal punto di vista musicale che da quello concettuale.
Il qui presente “The Final Experiment” risale all’ormai lontano 1995, uscito dopo un periodo non troppo felice per Arjen (problemi sentimentali e insuccessi professionali, tra cui il flop del primo album solista “Anthony”).
La copia che ho in mano è una ristampa del 2005 contenente un bonus cd acustico (di cui accennerò in chiusura) e una copertina interna molto interessante, sulla quale sono stampate alcune lettere di  case discografiche che si complimentano per l’eccellente qualità della musica, ma impossibilitate a pubblicare il cd a causa dello scarso interesse del pubblico verso le rock opera e, più in generale, verso un tipo di musica un po’ fuori dai soliti schemi.
Ricordiamoci che a quel tempo il mercato musicale risentiva degli ultimi colpi del grunge e dei gruppi alternative rock. Ma di li a pochissimo sarebbe cambiato tutto. Il metal sarebbe tornato alla ribalta e con esso tutti i generi e sottogeneri correlati, tra cui il progressive metal.
Questa riedizione rappresenta a maggior ragione un motivo di riscatto per Arjen.
Ma come si fa a recensire un disco degli Ayreon? Non si sa davvero da dove partire tanta è l’immensità dell’opera, a partire dal genere. Conviene catalogare direttamente la musica come progressive metal, tante sono le influenze e gli stili che si mescolano in questi lavori.
Di certo c’è del metal, con chitarre dai suoni nitidi, pomposi e potenti. C’è del progressive/space rock anni Settanta, l’influenza di gruppi come Pink Floyd e Yes è evidente e magistralmente reinterpretata; ci sono musiche medievali e atmosfere celtiche, da sempre grande passione di Arjen.
L’altra caratteristica del progetto Ayreon è di non essere un gruppo fisso, bensì una collaborazione tra Arjen e artisti appartenente alla scena rock/metal (e non solo) ogni volta diversi.
Infine, ogni disco degli Ayreon è un concept album, e tutti i dischi che escono sotto questo monicker sono collegati tra di loro. Praticamente tante storie che sono parti di una trama immensa e geniale.
La storia di “The Final Experiment” è ambientata nell’Inghilterra all’epoca di Re Artù, e narra delle vicende del protagonista, Ayreon, un menestrello cieco. Tutto comincia quando Ayreon, in sogno, riceve un messaggio proveniente dal futuro (anno 2084). In quel periodo l'umanità ha avviato un processo irreversibile di autodistruzione, e alcuni scienziati sviluppano un programma chiamato Time Telepathy in grado di spedire dei messaggi a ritroso nel tempo, con la speranza che vengano intercettati da qualcuno in grado di prevenire e ostacolare questo processo di autodistruzione. Grazie al sesto senso sviluppato dopo la cecità, Ayreon capta uno di questi messaggi e, dopo un’iniziale periodo di confusione dovuto alla stranezza delle visioni, comincia lentamente a comprendere il significato dei messaggi e si fa portavoce del terribile destino dell’umanità.
Ma la missione è tutt’altro che facile: Ayreon dovrà infatti scontarsi con la mentalità della gente del suo tempo, non certo predisposta e soprattutto spaventata da vaneggiamenti su cataclismi futuri che causeranno la fine del mondo.  E infatti sarà bandito dalla comunità.
Accolto con onore alla corte di Re Artù, si scontra con il potente Mago Merlino, geloso della capacità di Ayreon di predire il futuro e non convinto del messaggio contenuto nelle sue visioni.
Ma sarà proprio Merlino a doversi ricredere…
Questa trama avvincente poggia su un’impalcatura musicale assolutamente spettacolare. Un lavoro impeccabile senza sbavature o momenti sottotono. A partire dall’arpeggio iniziale di “The Awareness” (di pinkfloydiana memoria) si è catapultati in un vortice di atmosfere intense ed emozionanti, momenti ariosi e delicati alternati ad altri più aggressivi (come in “Eyes Of Time”, da segnalare soprattutto per il bellissimo assolo di tastiera sul finale); ed altri ancora più epici come nella splendida “The Banishment”, il cui intro non sfigurerebbe affatto come colonna sonora di un colossal fantasy.
Soluzioni un po’ più progressive e sperimentali si trovano in brani come “Listen To The Wawes” o “Merlin’s Will”, o tipo in “Magic Ride”, in cui fanno capo certe atmosfere ambient che saranno maggiormente sviluppate nei lavori successivi.
Chiude il disco “Ayreon’s Fate”, che anche musicalmente riassume quanto precedentemente esposto.
“The Final Experiment” è un’opera complessa e imponente destinata a far parlare di sé nel tempo e a non tramontare mai per bellezza, importanza e originalità.

Meno interessante è invece il bonus cd contenuto in questa edizione, in cui alcuni brani vengono riarrangiati in chiave acustica e cantati da voci differenti (tra queste le più interessanti sono Marcela Bovio, Irene Jansen e Astrid van der Veen).

Tracklist:

Prologue

    01 - Prologue
        a) The Time Telepathy Experiment
        b) Overture
        c) Ayreon's Quest

Act I: 'The Dawning'

    02 - The Awareness
        a) The Premonition
        b) Dreamtime (Words Become A Song)
        c) The Awakening
    03 - Eyes Of Time
        a) Eyes Of Time
        b) Brainwaves
    04 - The Banishment
        a) A New Dawn
        b) The Gathering
        c) The Accusation
        d) The Banishment
        e) Oblivion

Act II: 'King Arthur's Court'

    05 - Ye Courtyard Minstrel Boy
    06 - Sail Away To Avalon
    07 - Nature's Dance

Act III: 'Visual Echoes'

    08 - Computer-Reign (Game Over)
    09 - Waracle
    10 - Listen To The Waves
    11 - Magic Ride

Act IV: 'Merlin's Will And Ayreon's Fate'

    12 - Merlin's Will
    13 - The Charm Of The Seer
    14 - Swan Song
    15 - Ayreon's Fate
        a) Ayreon's Fate
        b) Merlin's Prophecy
        c) Epilogue
Line up:

Cantanti: Edward Reekers, Lenny Wolf,Robert Soeterboek, Jan-Chris De Koeijer, Ian Parry, Barry Hay, Arjen Lucassen, Jan van Feggelen, Leon Goewie, Ruud Houweling, Lucie Hillen, Mirjam van Doorn, Debby Schreuder.
Musicisti: Arjen Lucasse (all guitars, keyboard, bass), Cleem Determeijer (Hammond, Minimoog, Mellotron, Vocoder, Oberhei, Harpsicord, Piano and Keyboard), Jolanda Verduijn (bass), Peter Vink (Bass), Jan Bijlsma (bass), Barry Hay (alto flute).

giovedì 1 marzo 2012

Rage - "Strings To A Web"

itolo: "Strings To A Web"
Autore: Rage
Genere: Power Metal
Anno: 2012
Etichetta: Nuclear Blast
Voto: 7,5
Sito internet: www.rage-on.de



Con “Strings To A Web” i Rage pubblicano nel 2010 uno dei loro album migliori.
In attesa di ascoltarmi il nuovo “21”, in uscita proprio in questi giorni, mi è venuta voglia di gustare nuovamente questo gioiellino del trio “crucco” capitanato dal simpatico Peavy Wagner.
Anche “Strings To A Web” è frutto della sinergia con la famosa Lingua Mortis Orchestra, una collaborazione che ha sempre portato a ottimi risultati, fin dal grandioso “XIII” del lontano 1998. Ricordo che a quel tempo i Rage furono criticati per questa scelta (che a detta degli esperti avrebbe minato il tipico sound della band) e addirittura su una rivista italiana furono accusati di essere diventati una copia dei Metallica, anche a causa del look alla “black album” (calzoni e magliette nere attillati), che effettivamente sarebbe stato poi ripreso da altre band. Che stronzata! Dei Rage si può dire tutto tranne che sono dei fighetti o dei modaioli. La loro coerenza è pari alla costanza con la quale ogni due anni producono album di qualità superiore alla media, senza ricevere quell’attenzione e quel successo che spesso vengono ingiustamente riservati al primo gruppetto che capita.
Ma non siamo qui per fare polemica, bensì per valutare un bellissimo disco di ottimo heavy metal.
La prima cosa che si avverte è che l’alchimia che si è creata tra Peavy e Victor Smolski è ormai un marchio di fabbrica consolidato. Smolski è sempre più libero di esprimersi a suo piacimento e il songwriting generale è il primo a trarre i benefici da questa influenza, grazie soprattutto all’impiego di soluzioni più raffinate (rispetto ai chitarristi più “metalloni” che hanno militato in passato) che spesso sfociano nel prog. Sia ben chiaro, i riff potenti e malefici in stile Rage ci sono tutti, tuttavia c’è più attenzione alla melodia e all’assolo ragionato.
I primi brani scorrono via con piacere in un mix di potenza e melodia come d’abitudine, è il caso di “The Edge Of Darkness” e “Hunter And Prey”; mentre in “The Beggar’s Last Dime” si avverte quel tocco prog di cui parlavo prima.
Ma la perla del cd (che da sola ne vale l’acquisto) è la suite “Empty Hollow”. Suddiviso in cinque parti, questo brano mette in mostra il lato più intimo e riflessivo dei Rage, dove le parti orchestrali ben si amalgamano a intensi arpeggi di chitarra acustica e malinconici assolo.
In chiusura si ritorna al metal dove si segnala il bellissimo brano “Savior Of The Dead” (dall’interessante incedere prog-blues); e al rock’n’roll con la divertente e tirata “Hellgirl”.
Da segnalare inoltre la strumentale “Through The Ages”, malinconica e toccante quanto basta.
Chiude la partita “Tomorrow Never Comes”, dove Smolski si sbizzarrisce nei suoi assolo a volte un po’ nevrotici. Degna conclusione di un album che, anche grazie alla produzione, sfiora la perfezione.

Tracklist:

1. The Edge Of Darkness
2. Hunter And Prey
3. Into The Light
4. The Beggar´s Last Dime

EMPTY HOLLOW

5.a. Empty Hollow
6.b. Strings To A Web
7.c. Fatal Grace
8.d. Connected
9.e. Empty Hollow (reprise)

10. Saviour Of The Dead
11. Hellgirl
12. Purified
13. Through Ages
14. Tomorrow Never Comes

Line up:

"Peavy" Wagner - vocals, bass
Victor Smolski - guitars, keyboards, cello
André Hilgers - drums
Lingua Mortis Orchestra

lunedì 27 febbraio 2012

Freedom Call - "Land Of The Crimson Dawn"

Titolo: "Land Of The Crimson Dawn"
Autore: Freedom Call
Genere: Power Metal
Anno: 2012
Etichetta: Steamhammers Records
Voto: 5
Sito internet: www.freedom-call.net


I Freedom Call non mi hanno mai fatto impazzire, e ritengo che siano un gruppo troppo sopravvalutato sia dalla critica sia dai fans.
Tuttavia non nego di essermi goduto i primi tre dischi: “Stairway To Fairyland”, “Crystal Empire” ed “Eternity”, che nonostante non proponevano nulla di nuovo, riuscirono a loro modo a lasciare il segno grazie alla leggerezza e spensieratezza di accattivanti melodie “happy metal” che poi sono diventate il trademark della band.
Il problema però è che la musica dei Freedom Call non si è evoluta, rimanendo legata alle canzonette dal ritornello facile e, fatto peggiore, regredendo nel songwriting a causa di un calo di ispirazione iniziato con “The Circle Of Life”.
Mai un cambio nei suoni o un brano più complesso del solito, mai un azzardo, niente.
Certo c’è tanta coerenza nei Freedom Call, ma senza qualità non si va vanti.
Già li vedo i fans dei Freedom Call, una banda di ragazzini armati di coltello che mi cercano per farmi fuori…d’altra parte i metallari più incalliti difficilmente si lasciano abbindolare dalle certe melodie zuccherose…
Forse sarò ingiusto e cattivo, ma dei 14 brani che compongono il nuovo “Land Of The Crimson Dawn” non se ne salva nemmeno uno.
Se volete ve li elenco uno per uno: “Age Of Phoenix” è semplicemente brutta, “Rockstars” è ridicola sia nella musica sia nel testo”, “Crimson Dawn” ha il ritornello a dir poco imbarazzante, “66 Warrior”…ma quante canzoni hanno scritto i Freedom Call il cui titolo contiene la parola Warrior?, “Back Into The Land Of Light” inizia con le solite tastiere trionfanti (fiato alle trombe!) che tra l’altro ricordano, per forza di cose, la migliore “Land Of Light” contenuta in “Eternity”. Devo continuare? Non c’è problema, vi accontento subito: “Sun In The Dark” si sorregge su un giro di blues che non si capisce dove voglia andare a parare, “Hero On Video” è un tributo all’hard rock festaiolo anni Ottanta…basta, non ce la faccio più.
Mi direte che i Freedom Call sono una band di happy metal, un genere che gira al largo da virtuosismi o sperimentazioni. Mi sta bene, ma santo cielo metteteci più impegno perché la pochezza di queste canzoni è davvero disarmante.

Segnalo che il disco è il primo dopo la dipartita del drummer Dan Zimmerman e che è disponibile una versione limitata contentente alcuni classici dei Freedom Call coverizzati. Tra questi spicca Mr. Evil, suonata dai nostrani Secret Sphere.


Tracklist:

CD 1:

01. Age Of The Phoenix
02. Rockstars
03. Crimson Dawn
04. 66 Warriors
05. Back Into The Land Of Light
06. Sun In The Dark
07. Hero On Video
08. Valley Of Kingdom
09. Killer Gear
10. Rockin` Radio
11. Terra Liberty
12. Eternity
13. Space Legends
14. Power & Glory

CD 2:
01. Flame In The Night – performed by Powerworld
02. Hunting High And Low - performed by Downspirit
03. Land Of The Light - performed by Neonfly
04. Mr.Evil - performed by Secret Sphere
05. Palace Of Fantasy - performed by Manimal
06. Warriors - performed by Hannes Braun of Kissin` Dynamite

Line up:

Chris Bay (Voce, Chitarra)
Lars Rettkowitz (Chitarra, Cori)
Samy Saemann (Basso, Cori)
Klaus Sperling (Batteria, Cori)

domenica 26 febbraio 2012

Sonic Station - "Sonic Station"




Titolo: "Sonic Station"
Autore: Sonic Station
Genere: Melodic Rock
Anno: 2012
Etichetta: Frontiers Records
Voto: 7
Sito internet: www.sonic-station.com


Dietro al monicker Sonic Station si cela un ambizioso progetto musicale a cura di Alexander Kronbrink, chitarrista, compositore e produttore svedese del quale, in tutta sincerità, non avevo mai sentito parlare. Molto male, perché il disco in questione è davvero interessante, di quelli che qualitativamente fanno la differenza nel marasma delle uscite mensili.
Sono davvero tanti i musicisti che prendono parte al progetto: quattro cantanti, quattro tastieristi, cinque bassisti, un sassofonista, un trombettista e naturalmente il batterista.
Nella breve biografia presente sul sito della band, Krobnink afferma che la sua musica affonda le radici nell’AOR ottantiano (influenzata soprattutto da giganti del genere come Toto e Journey) e nela West Coast music (Airplay, Marc Jordan). Aggiungeteci un po’ di soul, una punta di jazz e pop ruffiano quanto basta, per ottenere una proposta elegante caratterizzata da arrangiamenti ricercati e raffinati.
La produzione è ottima, con suoni limpidi e molto “eighties” come nell’opener “Gonna Show The Way”, che ricorda vagamente “Jump” dei Van Halen catapultando l’ascoltatore nei gloriosi anni Ottanta.
I momenti migliori sono quelli più soffusi, in cui le tastiere dispiegano morbidi tappeti musicali su cui sfilano intensi assolo di chitarra capaci di creare atmosfere ammalianti tipiche di certe colonne sonore per scene…come dire… un po’ hot. E’ il caso di bellissimi brani come “Never Let The Sunshine Die”, “Hold On To Me” (che ricorda i Simply Red più romantici) oppure la blueseggiante “The Most Beautiful Fear”, che non sfigurerebbe affatto in un album di Lionel Richie.
C’è spazio anche per del sano AOR in brani come “Running Through The Night”.
Forse l’unico punto debole di questo disco è la mancanza di qualche brano accattivante, un pezzo radio friendly da lanciare come singolo per familiarizzare più facilmente con una band dall’impatto non certo immediato. Il fatto di concentrare tutte le forze nel tentativo di creare l’Opera d’arte potrebbe far si che il disco venga considerato troppo “difficile”, e pertanto destinato a rimanere oggetto di lusso di una piccola elite di ascoltatori.
Probabilmente però, è proprio questo il significato profondo di questo imperdibile lavoro.


Tracklist:

1. Intro
2. Love’s Gonna Show The Way
3. I Wish I Could Lie
4. Hold On To Me
5. You Have To Let Me Go
6. The Most Beautiful Fear
7. Running Through The Night
8. Never Let The Sunshine Die
9. My Last Refrain
10. Love You More
11. Reasons


Line up:

Featured on lead Vocals: Marika Willstedt, Magnus Bäcklund, Kristoffer Fogelmark & Tove Lo
Guitars: Alexander Kronbrink
Keyboards: Jonathan Fritzén, Marika Willstedt, David Larson & Alexander Kronbrink
Bass: Henrik Linder, Johan Hansén-Larson, Erik Metall, Kristofer Sundström & Johan Ivansson
Drums: Aron Mellergårdh, Thern Pettersson & Niklas Almgren
Percussion: Andreas Ekstedt
Backing vocals: Marika Willstedt, Kristoffer Fogelmark, Oskar Nilsson, Matilda Bådagård & Alexander Kronbrink

lunedì 13 febbraio 2012

Theocracy - "As The World Bleeds"

Titolo: "As The World Bleeds"
Autore: Theocracy
Genere: Power Metal
Anno: 2011
Etichetta: Nightmare Records
Voto: 7
Sito internet: www.theocracymusic.com


Non avevo mai sentito parlare dei Theocracy, giovane band statunitense che con questo interessantissimo “As The World Bleeds” aggiunge il terzo tassello alla propria discografia.
Ho cercato informazioni su Wikipedia e ho scoperto che il gruppo è attivo dai primi anni Duemila, dedito inizialmente a un metal di stampo progressive.
Nel secondo disco gli elementi prog vengono accantonati a favore di un sound più robusto e diretto, che da li in poi diventerà il loro marchio di fabbrica.
Nonostante provengano dall’America, il genere dei Theocracy è un power metal tipicamente europeo, con qualche sfumatura prog messa a condimento grazie all’abilità tecnica di tutti i componenti del gruppo. Nei Theocracy confluiscono le migliori soluzioni e sonorità di gruppi relativamente giovani come Stratovarius, Gamma Ray, Blind Guardian, Edguy, Sonata Arctica (tanto per citare i più gettonati; di cui riprendono anche un certo spirito “happy metal”) maneggiate però con destrezza e sufficiente personalità. Il disco è ben suonato, la prestazione dei singoli membri notevole, i suoni potenti e cristallini, merito anche di una produzione coi fiocchi.
Il disco parte un po’ in sordina con “I Am”, brano di undici minuti di durata che nonostante gli interessanti momenti prog non riesce a decollare in pieno. Ma con la successiva “The Master Storyteller” ci si rimette in carreggiata, con un inizio esaltante (che ricorda certe partenze a mille dei Dragonforce) e un ritornello molto orecchiabile che rimane subito impresso. Segue senza tregua una lista di brani molto accattivanti: “Nailed”, una delle canzoni che più preferisco, per la vena trash che le conferisce tiro e potenza; “Hide In A Fairytale”, “The Gift Of Music”, che parte come una ballad ma poi esplode in un ottimo brano power dalle sfumature progressive; “30 Pieces Of Silver”, in cui trash ed epic metal si sposano alla perfezione.
Nei pezzi finali c’è un leggero calo con brani più sempliciotti e canonici (“Altar Of The Unknown God”, “Light Of The World”). Chiude l’ottima title track, “As The World Bleeds”.
I Theocracy sanno il fatto loro, la lezione l’hanno assimilata bene e l’abilità tecnica non si discute, tuttavia quello che un pò penalizza il cd è la sensazione di già sentito che aleggia qua e la tra i riff e i ritornelli.
I presupposti per un capolavoro futuro però ci sono tutti, quindi occhio a non perderli di vista.

Tracklist:

The Master Storyteller
Nailed
Hide In The Fairytale
The Gift of Music
30 Pieces of Silver
Drown
Altar to the Unknown God
Light of the World
As the World Bleeds

Line up:

Matt Smith (Voce, Tastiera)
Val Allen Wood (Chitarra)
Jonathan Hinds (Chitarra)
Jared Oldham (Basso)
Shawn Benson (Batteria)


sabato 4 febbraio 2012

Unisonic - "Ignition"

Titolo: "Ignition"
Autore: Unisonic
Genere: Hard Rock
Anno: 2008
Etichetta: Ear Music/Edel
Voto: 6
Sito internet: http://www.myspace.com/unisonic

Kai Hansen e Michael Kiske di nuovo insieme: il sogno segreto dei metallari di mezzo mondo.
E finalmente il sogno è diventato realtà. Già da più di anno Kai Hansen aveva dichiarato di avere in cantiere un progetto insieme al vecchio compagno di avventure negli Helloween, progetto che si concretizzerà definitivamente in primavera con la pubblicazione del primo full lenght con il monicker Unisonic, anticipato però dal qui presente “Ignition”, mini album sfornato come antipasto per placare la voracità dei fan e degli addetti ai lavori.
Difficile fare una valutazione, il disco infatti è costituito da 4 brani, tre inediti più la versione live del classico degli Helloween “I Want Out”.
Gli inediti non sono particolarmente esaltanti: Unisonic è un pezzo tirato molto Priest oriented mentre “My Sanctuary” e “Souls Alive” sono più hard rockeggianti.
I brani di per se non sono male, ma non brillano certo per qualità o originalità, sono pezzi standard che starebbero benissimo su qualche album dei Gamma Ray o del Kiske solista, tuttavia si lasciano ascoltare con piacere specialmente per la prestazione di Michael, come sempre eccelsa (ah…quel vibrato!).
Di fatto, il brano più esaltante è proprio “I Want Out”, che dal vivo è sempre una goduria.
Che dire, prima di sparare sentenze, aspettiamo il full lenght e poi si vedrà.

Tracklist:

1. Unisonic 03:24
2. My Sanctuary 04:14
3. Souls Alive (demo version) 05:13
4. I Want Out (Helloween cover - 2011 live version) 05:34

Line up:

Michael Kiske (vocals)
Kai Hansen (vocals, guitar)
Dennis Ward (basso)
Kosta Zafiriou (batteria)
Mandy Meyer (guitar)

venerdì 3 febbraio 2012

Kip Winger - "From The Moon To The Sun"

Titolo: "From The Moon To The Sun"
Autore: Kip Winger
Genere: Rock/Ambient/Prog
Anno: 2008
Etichetta: Frontiers
Voto: 7,5
Sito internet: www.kipwinger.com



Nel 2008 Kip Winger supera se stesso pubblicando “From The Moon To The Sun”, probabilmente il lavoro più bello della sua carriera solista.
Stilisticamente il disco si rifà al precedente "Songs From The Ocean Floor" (recensito proprio qui sotto), migliorato però sotto l'aspetto compositivo per l'assenza di momenti sottotono. Ritroviamo subito le atmosfere orientali e arabeggianti tanto care a Kip fin dall’opener “Every Story Told”, brano positivo e solare; e nella successiva “Nothing”, dove un intro etnico fa da preludio a un brano aor molto intenso.
I brani più interessanti sono quelli d’atmosfera, in cui maggior spazio viene lasciato alle tastiere libere di creare atmosfere eteree dai toni intensi e molto personali. Tra i migliori vale la pena citare la suadente “Pages And Pages”, dove pianoforte e archi sono lo sfondo di una bellissima melodia che a tratti ricorda le composizioni di Brian Eno; la sperimentale “Ghosts” (incrocio di musica da camera e jazz) e “In Your Eyes Another Life”, il cui incedere drammatico ricorda i Pink Floyd più oscuri dell’era Waters e anche Richard Wright per quanto riguarda suoi lavori solisti (dominati da una malinconia di fondo).
Ne consegue che il disco è di difficile assimilazione, e a parte i primi brani più fruibili (tra cui spicca la radio friendly “Where Will You Go”, utilizzata come singolo), non bastano i soliti due/tre ascolti per memorizzare le melodie, anzi, proprio come per il disco precedente, servono diversi passaggi per carpire e  apprezzare tutte le sfumature della musica di Kip.
Il percorso musicale del Kip Winger solista è un viaggio estremamente personale, un’esplorazione di zone lontane che si concretizza nell’impiego di soluzioni stilistiche variegate e ricercate.
Tutto il disco emana una sensazione di calore che si espande attraverso le note; atmosfere sognanti che richiamano l’oceano e isole sperdute (complici soprattutto gli assolo di chitarra a effetto “gabbiano”).
“From The Moon To The Sun” è musica scritta con il cuore, legata ad esperienze e sentimenti, e dunque destinata a rimanere impressa nel cuore dell’ascoltatore per sempre.

Tracklist:

1) Every Story Told
2) Nothing
3) Where Will You Go
4) Pages And Pages
5) Ghosts
6) In Your Eyes Another Life
7) Runaway
8) California
9) What We Are
10) One Big Game
11) Why
12) Reason To Believe
13) Monster (European Bonus Track)

domenica 29 gennaio 2012

Kip Winger - "Songs From The Ocean Floor"

Titolo: "Songs From The Ocean Floor"
Autore: Kip Winger
Genere: Rock/Ambient/Prog
Anno: 2000
Etichetta: Frontiers
Voto: 7
Sito internet: www.kipwinger.com


Brillante lavoro questo “Songs From The Ocean Floor” di Kip Winger.
Per chi si è perso la scena hard rock anni Ottanta vale la pena ricordare che i Winger sono un gruppo hard/heavy statunitense, capitanato da Kip Winger, famoso per essere stato il bassista di Alice Cooper dal 1985 al 1989 e per aver in seguito collaborato con artisti del calibro di Bob Dylan, Twisted Sister, Jordan Rudess.
Sul finire degli anni Ottanta gli Winger ottennero un discreto successo grazie ai primi due album, (“Winger” e “Into The Heart Of The Young”), ma sparirono velocemente all’inizio degli anni Novanta travolti dall’ondata grunge.
Nel 2006 viene ufficializzata la reunion e nel 2009 viene pubblicato “Karma”, attualmente l’ultimo album in studio.
Musicalmente la carriera solista di Kip Winger si discosta notevolmente dalla band madre, accantonando il metal per lasciare spazio a sonorità più mature e raffinate che spaziano dal pop all’ambient, dal soft rock alla fusion, adottando soluzioni a volte sperimentali tipiche del prog che saranno poi sviluppate nel più recente “From The Moon To The Sun” (2008).
“Songs From The Ocean Floor” è un disco intimista, a tratti “sofisticato” (necessita assolutamente di tanti ascolti prima di farsi apprezzare), che affascina per la varietà delle atmosfere proposte.
I brani sono tutti molto belli, e se proprio si vuole cappare nel mazzo opterei per quelli più personali e intimi, come “Sure Was A Wildflower”, la romantica “Two Lovers Stand”, la suadente “Landslide” (un pezzo quasi new age), l’arabeggiante “Free” e le conclusive “Resurrection” e “Everything You Need”, queste ultime un po’ più sui generis.
Un disco insomma molto intenso, di quelli che sfidano le mode e che rimangono impressi per sempre nel corso del tempo.

Tracklist:

1) Cross
2) Crash The Wall
3) Sure Was A Wildflower
4) Two Lovers Stand
5) Landslide
6) Faster
7) Song Of Midnight
8) Free
9) Only The World
10) Broken Open
11) Reseurrection
12) Everything You Need

sabato 21 gennaio 2012

Widowmaker - "Blood And Bullets"

Titolo: "Blood And Bullets"
Autore: Widowmaker
Genere: Hard Rock
Anno: 1992
Etichetta: n.n.
Voto: 6,5
Sito internet: www.deesnider.com


La notizia dell’uscita dell’autobiografia di Dee Snider ha suscitato la curiosità di scoprire la carriera solista (purtroppo non fortunata) di quello che per me resta uno dei migliori cantanti metal di sempre.
Quando iniziai ad ascoltare musica metal i Twisted Sister furono tra i primi gruppi che conobbi. All’epoca si erano già sciolti e su MTV circolavano alcuni video di Dee Snider con i suoi nuovi progetti solisti. Sfortunatamente i canali di duffusione di massa come you tube non esistevano ancora, ed era molto difficile reperire dischi che uscivano solo per il mercato statunitense (oppure bisognava ordinarli e pagarli salati!), e di fatto i dischi solisti di Dee Snider ebbero una distribuzione molto limitata.
La carriera solista di Dee Snider nasce subito dopo l’abbandono dei Twisted Sister (a causa dell’insuccesso del mediocre “Love Is For Suckers”) con il progetto Desperado, che però ha vita breve, vista la scarsa attenzione da parte delle case discografiche. Deciso a non mollare, Snider mette in piedi un nuovo gruppo, i Widowmaker, con il quale pubblica due dischi: “Blood And Bullets” (oggetto della recensione) e “Stand Up For Pain”. Il primo risquote un discreto successo, il secondo invece viene accolto tiepidamente, pertanto nel 1996 finisce anche questa avventura.
Ma la passione per la musica non ferma Dee, che continua a suonare nei club con la Dee Snider's SMFs Band proponendo dal vivo vecchi successi dei Twisted Sister, tant’è che da li a poco tempo si riuniranno per clamorosi concerti in tutto il mondo.
Ma veniamo a questo interessante “The Widowmaker”.
Il disco è un ottimo concentrato di classico hard rock anni Ottanta, tirato ed energico in piena tradizione “twistedsisteriana”. In questo senso il disco acquista ancora più valore se si pensa all’anno di uscita, il 1992, periodo di crisi nera per il metal in generale a causa dell’invasione del grunge. La band è formata da Al Pitrelli alla chitarra (Savatage, Alice Cooper, Asia), Marc Russel al basso e Joey Franco alla batteria, già compagno nei Twisted Sister.
Il disco non è eccezionale, tuttavia tosto e bello carico, pervaso da una vena rock’n’roll che riesce comunque ad infiammare l’animo ad alto volumo.
La partenza è di quelle toste, con la doppia cassa di “Emaheevul “, si rallenta con le ottime “The Widowmaker” e “Evil”, per poi ripartire in tromba con l’hard rock festaiolo di “The Lonely Ones” e il rock’n’roll di “Snot Nose Kid”.
Nella parte centrale troviamo qualche pezzo più sottotono (“Blood And Bullets”, “Gone Bad”), ma anche un interessante pezzo blues (“Blue For You). Del trittico finale il brano migliore è “We Are The Dead”, un anthem da cantare a squarciagola.
In definitiva un buon album, un’ottima occasione per ascoltare un po’ di sano hard rock e l’intramontabile voce di Dee Snider.

Tracklist:

1. Emaheevul - 3:20
2. The Widowmaker - 5:08
3. Evil - 3:05
4. The Lonely Ones - 4:59
5. Reason to Kill - 5:34
6. Snot Nose Kid - 4:07
7. Blood and Bullets - 3:16
8. Gone Bad - 3:19
9. Blue for You - 6:17
10. You're a Heartbreaker - 3:21
11. Calling for You - 4:47
12. We Are the Dead - 3:47
13. Easy Action (bonus track edizione giapponese)

Line up:

Dee Snider - Voce
Al Pitrelli - Chitarra
Marc Russel - Basso
Joey "Seven" Franco - Batteria

giovedì 19 gennaio 2012

Alcest - "Le Voyage de l'Ame"

Titolo: "Le Voyage de l'Ame"
Autore:
Alcest
Genere: Post Rock
Anno: 2012
Etichetta: Prophecy
Voto: 6,5
Sito internet: www.alcest-music.com




















Il 2012 comincia con il ritorno dell'interessante e originale progetto Alcest di Neige, che con "Le Voyage de l'Ame" giunge al terzo full lenght della sua carriera.
Proponendo un genere di difficile catalogazione, è molto probabile che non tutti sappiano chi siano gli Alcest, pertanto vale la pena fare un piccola presentazione.
Gli Alcest nascono nel 2000 come gruppo black metal, costituito dal fondatore Neige (Amesoeurse, Peste Noire) a cui si uniscono i musicisti Argoth (Peste Noire) e Famine (Peste Noire, Valfunde). Dopo la pubblicazione di qualche demo i soci di Neige abbandonano il gruppo per divergenze musicali e gli Alcest diventano, di fatto, una one-man-band del solo Neige, che sterzerà verso sonirità decisamente diverse dal black metal. Il genere proposto è infatti è una sorta di rock post moderno dalle tinte decadenti e malinconiche, con liriche sfondo onirico-fantastico. Una musica molto triste e introspettiva, a tratti eterea, che racconta (come spiegato dallo stesso Neige) un mondo immaginario costellato di «colori, forme e suoni che qui non esistono» e popolato da fate ed esseri sovranaturali. La funzione della musica è proprio quella di permettere all’ascoltatore di accedere ai ricordi dell’infanzia, concetto introdotto con il primo EP “Le Secret” e poi sviluppato nell’ottimo “Souvenirs d’une Autre Mond” del 2007.
Il qui presente “Le Voyage de l’Ame” prosegue la strada intrapresa dal punto di vista tematico che da quello prettamente musicale.
Il disco è composto da otto tracce molto intense e di difficile assimilazione; brani sognanti in cui atmosfere soavi vengono interrotte da accelerazioni simil-black con tanto di scream in sottofondo. Purtroppo questo lavoro non può essere considerato alla stregua degli altri, risultando in più punti prolisso e, fondamentalmente, noioso. C'è una certa monotonia nei brani, complici l'uso dei soliti pochi strumenti, voce soffusa e piatta, sonorità sempre uguali e ritmo dall’incedere lento e decadente che spesso rende indistinguibile il passaggio da un brano all'altro. Tra i migliori vale la pena citare “Autre Temps”, “Beings Of Light” e “Summer’s Glory”.
Un disco comunque valido, emozionante e intimo, un vero viaggio dell'anima.

Tracklist:

01. Autre Temps
02. Là Où Naissent Les Couleurs Nouvelles
03.  Les Voyages De L'Âme
04. Nous Sommes L'Emeraude
05. Beings Of Light
06. Faiseurs De Mondes
07. Havens
08. Summer's Glory

martedì 10 gennaio 2012

Symphony X - "Iconoclast"

Titolo: "Iconoclast"
Autore: Symphony X
Genere: Progressive Metal
Anno: 2011
Etichetta: Nuclear Blast
Voto: 7
Sito internet: www.symphonyx.com



















I Symphony X hanno proprio deciso di pestare duro.
Dopo il potente “Paradise Lost” ci si aspettava in qualche modo un ritorno ad un’attitudine più progressive (visti anche i quattro lunghi anni trascorsi), e invece il nuovo “Iconoclast” picchia ancora più del predecessore.
Il suono delle chitarre si è ulteriormente irrobustito, i riff sono potenti e oscuri, e a troneggiare su tutto la magnifica voce di Russel Allen più ruggente e rabbiosa che mai.
Ad essere sincero questa nuova direzione musicale non mi convince molto, mi sembra più che altro un’espediente per sopperire a un’evidente carenza compositiva.
Innanzitutto c’è da notare come “Iconoclast” sia fondamentalmente un disco di ottimo power metal, costruito con parti intricate e complicate (nella migliore traduzione Symphony X) in cui comunque di progressive vero e proprio ce n’è poco.
Certo non mancano i riff tecnici di Romeo o le parti di tastiera più d’atmosfera (il disco è di difficile assimilazione, occorrono diversi ascolti), tuttavia siamo molto lontani da capolavori come “The Divine Wings of Tragedy” o “V: The New Mythology Suite”.
Difficile capire questa scelta, spero che sia stata dettata da motivi puramente commerciali, magari spinti dalla nuova label, l'astuta Nuclear Blast.
Ma non scoraggiatevi, anzi, tenete duro e affilate l’orecchio, e vedrete che alla fine potrete godere di un’ora e più di ottima musica metal, suonata come dio comanda.
Il disco si apre con la title track, “Iconoclast”, un brano lungo 10 minuti (uno dei migliori) dall’intro epico che poi sfocia in una cavalcata power con un ritornello molto ruffiano che farà sicuramente strage in sede live (We are strong/We will stand and fight!Fight!).
Seguono brani canonici come “The End Of The Innocence” o “Dehumanized” (in cui Allen rugge come un leone), e altri più riusciti come la veloce “Bastards Of The Machine” e l’oscura “Heretic”.
Ma il pezzo capolavoro è “When All Is Lost”, una ballata di 9 nove minuti che si candida a miglior brano dei Symphony X. Classe, melodia, assoli eleganti e ispirati, un’interpretazione magnifica di Allen: questi sono gli ingredienti di una bellissima canzone che si lascia ascoltare all’infinito.
Peccato però che dopo questa si ritorni ad un power molto aggressivo con melodie poco ispirate.
Difficile tirare le somme di un disco che comunque è di notevole spessore musicale.
Non mi resta che sperare in un ritorno, anche parziale, al sound delle origini.
Del disco è anche prevista un’edizione speciale composta da 2 cd (contenente 3 brani in più rispetto al cd singolo composto da 9 brani).

Tracklist:

1) Iconoclast – 10:53
2) The End of Innocence – 5:29
3) Dehumanized – 6:49
4) Bastards of the Machine – 4:58
5) Heretic – 6:26
6) Children of a Faceless God – 6:22
7) Electric Messiah – 6:15
8) Prometheus (I Am Alive) – 6:48
9) When All Is Lost – 9:10

Line up:

Russell Allen - voce
Michael Romeo - chitarra
Michael Lepond - basso elettrico
Michael Pinnella - tastiere
Jason Rullo - batteria